Eravamo uguali come gocce d'acqua, io e mia sorella. Tanto uguali da essere confuse l'una con l'altra. Le gemelle, ci chiamavano, quando eravamo vicine: per evitare ogni distinguo con annessa figuraccia. Eravamo due, anzi non due: ma una coppia.
Uguali fuori ma diverse dentro, come un baco rende una mela diversa da un'altra. Io devota e timorata di Dio, lei miscredente; io ballerina esigente e testarda, lei nullafacente; io sposata, lei fidanzata di un uomo di cui forse ignorava anche il nome. Non avevamo figli. Io per volontà di Dio, lei per volontà di un farmaco infernale.
Due volte squillò il telefono quella mattina, anzi non due: ma una coppia. La prima volta c'era la sua voce aldilà della cornetta. Era presto.
"Sto male", mi straziò con questo esordio giù dal letto.
"Cos'hai?"
"Sto male".
Psicofarmaci, prendeva. Prima erano uno al giorno, poi il doppio poi di più, tanti da non vedere mestruazioni ormai da anni.
"Stai tranquilla, ti prego".
"Era strano stanotte era strano e scandaloso".
"Ma di chi parli, di quel farabutto che ti porti a letto?"
"Era strano e poi poco fa mi ha chiamato ed io sapevo che c'era qualcosa che non andava".
"Stai tranquilla, ti prego stai tranquilla, stai tranquilla".
"E' un mostro, lo sapevo. Mi ha tolto tutto ed ora non ho niente".
La prima volta che feci una buona azione ero in terza media. Un mio compagno aveva un anellino d'oro all'orecchio sinistro, erano gli anni in cui quella moda sconveniente stava prendendo piede. Io lo convinsi a toglierlo per un mese in cambio dei compiti di matematica. Scaduto il tempo si dimenticò di rimetterlo, ma io non dissi nulla.
"Spiegami meglio, cosa è successo?", dissi.
Poi lo rividi un anno dopo, aveva tre orecchini di cui uno al naso. Fu allora che compresi che una buona azione funziona solo quando è onesta non solo negli intenti, ma anche nelle modalità. Dio è misericordioso con i misericordiosi, è giusto con i giusti, è buono con i buoni.
"Mi ha chiamato poco fa dicendomi una cosa orribile".
"Cosa ti ha detto?"
Nell'estate tra il secondo e il terzo liceo cominciai il volontariato. Inizialmente aiutavo un po' la mensa in città, poi negli anni successivi cominciai a viaggiare in paesi poveri per dare un aiuto concreto. Dio è caritatevole con i caritatevoli.
"Mi ha detto una cosa orribile".
"Dimmi cosa, diamine!"
"Non urlarmi, sei la solita egoista".
L'estate della maturità andai due mesi in Brasile ad aiutare i bambini orfani. Tenere tra le mani più ossa che carne metteva i brividi. Fu lì che una sera ballando in un bar incontrai mio marito. Era un ballerino come me, ed ascoltava anche con gli occhi. Odiavamo ballare, entrambi. Ma eravamo bravi.
"Perdonami. Stai tranquilla però, te ne prego. Raccontami cosa ti ha detto".
"Non ce la faccio", la voce incrinata.
Lui venne con me lasciando tutto, il suo paese, il suo lavoro, la sua famiglia. Trovò lavoro come cameriere, e guadagnava bene.
"Ti prego...", sussurrai.
"Non ce la faccio", disse lei piangendo prima di riattaccare.
Due volte squillò il telefono quella mattina, anzi non due: ma una coppia. La seconda volta era mio marito, lo sapevo anche senza rispondere. E non risposi.
Perchè stavo correndo da lei.
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