Il mio blog aveva bisogno di una svecchiata, no? Era illeggibile, con quella colonnina di testo così piccola, quello sfondo così colorato, quelle immagini ormai vecchie e dimenticate sulla destra... Così sono andato a cercare tra i vari template che il beneamato blogger mette a disposizione, e dopo aver constatato che quello che usavo era tra i meno peggio e che a volte il gusto delle persone mi mette a disagio, ho optato per questo, che si chiama "simple template", è un template molto semplice, non ha niente di strano o di notabile, apparte forse per lo sfondo un po' "anzianotto" a cui devo ancora abituarmi. Mi piace però la sistemazione ordinata di tutto, e in generale, volevo cambiare.
Welcome, again.
[UPDATE: Questa dovrebbe essere la versione semi-definitiva. Mi piace molto, nella sua semplicità. Ho anche eliminato lo sfondo vecchiotto...]
14 ottobre 2006
Vari-china
"Mare delle verità", il nuovo romanzo di Andrea De Carlo, è bellissimo: polemico, politico, positivo. Uno lo legge, e capisce per quale motivo quest'omuncolo, venuto dal niente, fosse il pupillo di Calvino e il discepolo di Fellini.
L'amore nasce dalla bellezza, ma la bellezza è nell'amore. Sembra un giro in cui è impossibile entrare, eppure qualcuno ci riesce. E lì dentro è stupendo.
A volte la voce di Chris Martin mi provoca quasi la nausea: perchè è così fottutamente simile alla mia stessa idea di "voce".
35 minuti sono difficili da dedicare a qualcuno: pensate a un amico in ospedale, o a una madre a letto con l'influenza. Sono sacrifici che nell'epoca moderna impongono scelte, e valutazioni di priorità. Mi chiedo allora come abbia trovati tutti questi minuti, Prodi, per andare dal papa.
Fare foto a volte mi stufa: il tempo è troppo lungo per essere riassunto in un istante.
Ascolto molto minimalismo in questo periodo: è musica che lascia spazio alle tue idee, senza cambiarle. La tristezza inevitabilmente provocata dall'ascolto, è un sentimento che ti appartiene, non ti è estranea. E appena finisce, ne vuoi subito ancora, come un accompagnamento da cui non riesci a prescindere.
Già amo le persone che ridono, ora mi innamoro di quelle che piangono.
Il silenzio è l'ultima provocazione che ci rimane: tacere, quando ci è chiesto di rispondere a una domanda a cui chiunque saprebbe rispondere. Sospirare, invece di controbattere.
Ultimamente ho poca voglia di studiare, e molta voglia di fare cose. Però l'unica cosa che devo fare è studiare.
Ho visto "Annie e io" di Woody Allen. Mi ha colpito una battuta delle sue, quando dice, con il suo tono saccente: "Chi non sa fare niente, insegna. E chi non sa insegnare, insegna ginnastica." Negatelo.
C'è la Festa del Cinema, qui intorno a me. Star vestite bene, giornalisti che scrivono bene, sale dei cinema sistemate bene, tutte piene di gente che ne parla bene. Come si può pensare male, di una cosa così?
Trovo il tradimento un modo indelicato per confermare il sospetto che è l'ora di andare. Più difficile a dirsi...
Mi chiedo se avere un blog mi faccia bene: prima, certe cose, non le scrivevo. Il problema che dovrei affrontare, è se già le pensavo o no.
L'amore nasce dalla bellezza, ma la bellezza è nell'amore. Sembra un giro in cui è impossibile entrare, eppure qualcuno ci riesce. E lì dentro è stupendo.
A volte la voce di Chris Martin mi provoca quasi la nausea: perchè è così fottutamente simile alla mia stessa idea di "voce".
35 minuti sono difficili da dedicare a qualcuno: pensate a un amico in ospedale, o a una madre a letto con l'influenza. Sono sacrifici che nell'epoca moderna impongono scelte, e valutazioni di priorità. Mi chiedo allora come abbia trovati tutti questi minuti, Prodi, per andare dal papa.
Fare foto a volte mi stufa: il tempo è troppo lungo per essere riassunto in un istante.
Ascolto molto minimalismo in questo periodo: è musica che lascia spazio alle tue idee, senza cambiarle. La tristezza inevitabilmente provocata dall'ascolto, è un sentimento che ti appartiene, non ti è estranea. E appena finisce, ne vuoi subito ancora, come un accompagnamento da cui non riesci a prescindere.
Già amo le persone che ridono, ora mi innamoro di quelle che piangono.
Il silenzio è l'ultima provocazione che ci rimane: tacere, quando ci è chiesto di rispondere a una domanda a cui chiunque saprebbe rispondere. Sospirare, invece di controbattere.
Ultimamente ho poca voglia di studiare, e molta voglia di fare cose. Però l'unica cosa che devo fare è studiare.
Ho visto "Annie e io" di Woody Allen. Mi ha colpito una battuta delle sue, quando dice, con il suo tono saccente: "Chi non sa fare niente, insegna. E chi non sa insegnare, insegna ginnastica." Negatelo.
C'è la Festa del Cinema, qui intorno a me. Star vestite bene, giornalisti che scrivono bene, sale dei cinema sistemate bene, tutte piene di gente che ne parla bene. Come si può pensare male, di una cosa così?
Trovo il tradimento un modo indelicato per confermare il sospetto che è l'ora di andare. Più difficile a dirsi...
Mi chiedo se avere un blog mi faccia bene: prima, certe cose, non le scrivevo. Il problema che dovrei affrontare, è se già le pensavo o no.
11 ottobre 2006
Spiegel Im Spiegel
Come uno specchio in cui si riflette un altro specchio, e nel mezzo ci sei tu che vieni risucchiato e non riesci più ad uscire, perchè più guardi e più sei dentro, immobilizzato dalle tue stesse riflessioni, incastrato in un triangolo di percezione-paura-stasi da cui non puoi liberarti, come uno specchio infinito posato su un tappeto lungo come la tastiera di un pianoforte, in cui i tasti muovendosi producono il niente, che nemmeno è arrivato, questo niente, che già sembra essere andato via, e tu capisci che è un rumore, eppure è la cosa più simile al silenzio che possa venire in mente a un uomo, non riesci a cantarla, non riesci a percepirla, a dare una forma definita alla sensazione, non riesci ad abituare l'orecchio, a plasmarlo sull'onda sonora, non capisci nemmeno se quella che senti è tristezza, o se quello che vedi meriti le tue lacrime, ed ecco che proprio mentre sei lì, frastornato dal niente, ti si strazia il cuore perchè vedi un violino, posato sul tappeto, che vibra al ritmo in cui vorresti vibrare, e che suona la nota che vorresti suonare, nulla è imprevedibile eppure tutto è così strano, è strano riuscire a zittire il mondo con così poco rumore, è strano pensare così lentamente, è strano focalizzare qualcosa di così simile al proprio flusso di pensieri, e tutta questa stranezza dovrebbe soffocarti invece ti da aria, e respiri come da una bolla in mezzo all'oceano, in profondità, dove la luce arriva ancora ma non riesce ad abbagliarti, e tutto è in una semi oscurità, così simile a quello che c'è dentro di te da farti perdere i confini del corpo, la mano non è più mano ma è già acqua, la musica non è più musica ma è già anima, la fretta non esiste, e non è mai esistita del resto, le parole degli altri si fermano a un centimetro dall'orecchio prima di entrare, si ingentiliscono, aspettano il loro turno, e la guerra non c'è più, per dieci minuti la colpa sparisce, e senza colpa non c'è peccato e non c'è pentimento, non c'è differenza tra me e te, un bacio un abbraccio uno sguardo sono la stessa cosa, il veicolo per unire il mio corpo al tuo, e permettere all'arco del violino di passare da me a te, un sorriso diventa un arpeggio, e ti sembra di correre , quasi di cadere, guardi in basso e hai le vertigini, ma l'impatto con il suolo non può farti del male, niente può rompere il tuo guscio, niente può scalfire, niente può spaventare, le porte si aprono a metà, le urla sembrano canti, le pistole non esistono, ti sforzi di ricordare il minuto prima, ma i momenti sono così uguali a quelli ancora prima e a quelli appena dopo da risultare indistinguibili, il tempo non esiste più, c'è solo lo spazio tra un suono e l'altro, e il respiro nell'attesa, e poi ancora spazio, e ancora respiro, e ancora respiro, ed è tutto finito.
Arvo Part - Alina: Spiegel Im Spiegel
09 ottobre 2006
I don't shine if you don't shine
Sono giorni ormai che non sospiro più. Mi incazzo con me stesso, per questo. Mi spiego le mie motivazioni e non mi capisco proprio, e questa cosa mi rende davvero nervoso. Possibile che quando mi parlo mi fodero le orecchie in questo modo? Mi accorgo però di alcune cose, che sembrano lontane, e che invece sono la realtà; è così imbarazzante.
Nel ventunesimo secolo abbiamo risolto alcuni problemi in modi che oserei definire bizzarri. Oggi le dinamiche più semplici, come baciare una persona, guardarla negli occhi, odiarla: diventano le più complicate; le cose naturali, sono le più artificiali. Mi sembrano complicazioni inutili: come se uno compra il burro, legge tra gli ingredienti, e ci trova cose tipo "Betamenzilene destrutturato", e, appena più sotto "Può contenere tracce di formaldeide". Cazzo, il burro è il burro. l'amore è l'amore. E se ti guardo per un'ora, non pensare a una macchia sulla maglietta: vuol dire che ti amo.
Per rendere il tutto ancora più falso, poi, non ci siamo fermati qui. Abbiamo giocato ancora un po', creando un mostro: la divisione in categorie. Abbiamo ghettizzato l'universo, inscatolando l'essere umano in modelli preconfezionati, artificiali, inumani: se voglio incontrare un certo tipo di persone vado in quel pub, se voglio incontrarne un altro tipo vado in quella discoteca, se voglio vedere gente strana vado lì, se voglio vedere gente normale vado là. Abbiamo bruciato il colpo di fulmine, e l'estasi che si prova nel guardare qualcosa di nuovo. Abbiamo coniato parole nuove o usato parole vecchie: ecco il coatto, il pariolo, il fighetto, la zecca, lo sfigato, il periferico, il frocio. E per ognuna di queste categorie ecco nata un'industria nuova di zecca: con macchine solo per parioli, discoteche solo per coatti, pub solo per froci, zaini solo per sfigati, centri sociali solo per zecche. Chi è in un gruppo disprezza chi è nell'altro, e le caste si assottigliano sempre di più, roba che pure in india l'hanno superata, ormai. Tra poco i pariolini che hanno una lieger si riuniranno in posti diversi da quelli che hanno la smart, e così via. Fino a restare da soli, chissà.
Mi piacerebbe la sorpresa, invece: incontrare una stranezza nella normalità, o l'omologazione nel diverso. Mi piacerebbe andare in un luogo che non è nessun luogo, in una stanza senza titolo. Mi piacerebbe la visione che non ti aspetti, quella di cui ci hanno privato, perchè ormai è tutto prevedibile, tutto già deciso.
Mi piacerebbe sospirare per te, senza averti già pensato.
Mi piacerebbe incontrarti in un posto dove non c'è nient'altro di bello: perchè così risplenderesti.
Nel ventunesimo secolo abbiamo risolto alcuni problemi in modi che oserei definire bizzarri. Oggi le dinamiche più semplici, come baciare una persona, guardarla negli occhi, odiarla: diventano le più complicate; le cose naturali, sono le più artificiali. Mi sembrano complicazioni inutili: come se uno compra il burro, legge tra gli ingredienti, e ci trova cose tipo "Betamenzilene destrutturato", e, appena più sotto "Può contenere tracce di formaldeide". Cazzo, il burro è il burro. l'amore è l'amore. E se ti guardo per un'ora, non pensare a una macchia sulla maglietta: vuol dire che ti amo.
Per rendere il tutto ancora più falso, poi, non ci siamo fermati qui. Abbiamo giocato ancora un po', creando un mostro: la divisione in categorie. Abbiamo ghettizzato l'universo, inscatolando l'essere umano in modelli preconfezionati, artificiali, inumani: se voglio incontrare un certo tipo di persone vado in quel pub, se voglio incontrarne un altro tipo vado in quella discoteca, se voglio vedere gente strana vado lì, se voglio vedere gente normale vado là. Abbiamo bruciato il colpo di fulmine, e l'estasi che si prova nel guardare qualcosa di nuovo. Abbiamo coniato parole nuove o usato parole vecchie: ecco il coatto, il pariolo, il fighetto, la zecca, lo sfigato, il periferico, il frocio. E per ognuna di queste categorie ecco nata un'industria nuova di zecca: con macchine solo per parioli, discoteche solo per coatti, pub solo per froci, zaini solo per sfigati, centri sociali solo per zecche. Chi è in un gruppo disprezza chi è nell'altro, e le caste si assottigliano sempre di più, roba che pure in india l'hanno superata, ormai. Tra poco i pariolini che hanno una lieger si riuniranno in posti diversi da quelli che hanno la smart, e così via. Fino a restare da soli, chissà.
Mi piacerebbe la sorpresa, invece: incontrare una stranezza nella normalità, o l'omologazione nel diverso. Mi piacerebbe andare in un luogo che non è nessun luogo, in una stanza senza titolo. Mi piacerebbe la visione che non ti aspetti, quella di cui ci hanno privato, perchè ormai è tutto prevedibile, tutto già deciso.
Mi piacerebbe sospirare per te, senza averti già pensato.
Mi piacerebbe incontrarti in un posto dove non c'è nient'altro di bello: perchè così risplenderesti.
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