29 dicembre 2007

Il meglio che possa capitarti

"Per una volta in vita tua ti conviene ascoltarmi, perchè non lo ripeterò due volte. A me non interessa il tuo mondo e non mi interessa la tua gente. Può darsi che di tanto in tanto mi affezioni a qualcuno, ma è quasi sempre come se mi affezionassi a una tartaruga d'acqua: la guardi che prende il sole sulla terrazza, ma non ti senti legato a lei, mi segui? Io non ho bisogno di nessuno, tu invece sì: ti serve un pubblico che ti ammiri, specchi che riflettano le varie sfaccettature della tua grandezza: moglie, figli, amante, genitori, amici, clienti, dipendenti, e giaggiare in prima classe, vincere trofei, suonare Debussy, guidare una Lotus, soddisfare sessualmente le donne. Io no. E lo sai perchè? Perchè l'unica forma d'ammirazione che la maggior parte della gente conosce è una specie di velata invidia, e io non voglio essere invidiato: mi fa schifo, mi scoccia, lo capisci? E ti dirò di più: è anche possibile che per un certo periodo io sia stato malato davvero: malato di solitudine, come il Brutto Anatroccolo, o come un uomo di Neandertal ritto e imberbe in un mondo di uomini di Cro-Magnon; così malato che ho persino deciso di esplorare il resto del pianeta per cercare altri cigni. Ma ho scoperto che i cigni non esistono, o al massimo ce ne sono uno o due su ogni cento anatre, qui come a Giacarta. E' stata dura da accettare, ma alla fien mi sono abituato all'idea. Da allora preferisco isolarmi da questo mondo che avete inventato così male. Cosa suggerisci? Sostituire la birra con la palestra? La mia filosofia con una macchina di lusso? Le puttane con una moglie alla quale interesso solo perchè posso darle dei figli e un'amante che mi fa un pompino ogni tanto, giusto per consolarmi? Grazie tanto, ma sono fatto alla mia maniera, mi godo la vita come mi pare. Questo, sappilo, è già molto di più di quello che la maggior parte della gente potrebbe dire di sè."

[P. Tusset, Il meglio che possa capitare a una brioche]

26 dicembre 2007

Acqua e farina


Soltanto le labbra possono rispondere alle domande più importanti, quelle che ti poni da anni, che ti martellano dentro e che non riesci a mandare via con niente, con nessuna canzone, nemmeno con Baricco, nemmeno scrivendo, che era la tua ancora di salvezza in questo periodo. E quando non ci riesce niente allora è arrivato il momento di rispondere, e soltanto le labbra possono rispondere. Le domande di questo tipo non sono facili, tu sai che negli ultimi anni non sei mai riuscito a rispondere, e quando realizzi questo allora ti chiedi se quell'ultimo punto un po' scolorito e poco leggibile nella tua letterina di Babbo Natale riguardasse proprio questo. Poi pensi che forse no, forse non hai mai desiderato davvero rispondere, forse quell'ultimo punto riguardava un iPod nuovo, una macchina più pulita, o un esame in più. Forse parlava di fame nel mondo, ti senti generoso, in questo periodo. E mentre ti arrovelli il cervello su una fantomatica possibilità che una possibile risposta arrivi in un possibile momento, ecco che succede l'impossibile e già sei a conoscenza di tutte le realtà. Sono labbra, quelle che hanno risposto. E cazzo, stanno zitte, e proprio in questo sta il bello della risposta, nel suo essere così liquidamente silenziosa.
Come acqua e farina, anche tu ti mischi senza rumori.

24 dicembre 2007

Buon Natale.

C’era un uomo che partiva, viaggiava, e quando tornava, prima di lui arrivava un gioiello, in una scatola di velluto. La donna che lo aspettava apriva la scatola, vedeva il gioiello e allora sapeva che sarebbe tornato. La gente credeva che fosse un regalo, un prezioso regalo per ogni fuga. Ma il segreto era che il gioiello era sempre lo stesso. Cambiavano le scatole ma lui era sempre quello. Partiva con l’uomo, restava con lui ovunque andasse, passava di valigia in valigia, di città in città, e poi tornava indietro. Veniva dalle mani della donna e li ritornava, esattamente come l’orologio ritornava nelle mani dell’ ammiraglio. La gente credeva fosse un regalo, un prezioso regalo per ogni fuga. Invece era ciò che custodiva il filo del loro amore, nel labirinto di mondi in cui l’uomo correva, come un’ incrinatura lungo un vaso. Era l’orologio che contava i minuti del tempo anomalo, e unico, che era il tempo del loro volersi. Tornava indietro prima di lui perchè lei sapesse che dentro colui che stava arrivando non si era spezzato il filo di quel tempo. Così l’uomo arrivava, infine, e non c’era bisogno di nulla, nè di sapere. L’istante in cui si vedevano era, per tutt’ e due, ancora una volta, lo stesso istante.


Auguri.