04 aprile 2008
Leggende
Time to pretend
è l'ora di fare un po' di musica, di fare un po' di soldi, di trovare qualche modello per le nostre mogli.
Io andrò a Parigi, mi farò qualche pera di eroina e scoperò con le stelle,
tu dipenderai dall'isola, dalla cocaina e dalle macchine eleganti.
Questa è la nostra decisione: vivere veloci e morire giovani.
Ho avuto l'illuminazione, ora iniziamo a divertirci.
E' opprimente, ma cos'altro potremmo fare?
Trovare lavoro in qualche ufficio e svegliarci come pendolari mattinieri?
Dimentichiamoci delle nostre madri e dei nostri amici:
siamo destinati a pretendere,
a pretendere.
Mi mancheranno i parchi gioco, gli animali e scavare cercando vermi,
mi mancherà il conforto di mia madre e tutto il peso del mondo,
mi mancherà mia sorella, mio padre, il mio cane e la mia casa,
e mi mancherà la noia e la libertà e tutto il tempo passato da solo.
Ma non c'è niente, niente che possiamo fare;
l'amore va dimenticato, la vita può sempre ricominciare da capo.
I modelli avranno figli, noi otterremo un divorzio,
troveremo altri modelli e tutto seguirà il suo corso.
Poi affogheremo nel nostro stesso vomito, e quella sarà la fine.
MGMT
[aiutatemi a capire]
03 aprile 2008
E' l'ora di pretendere
MGMT - Time to pretend
01 aprile 2008
Wish I was old and a little sentimental
Voglio spiccare sulla masse, calpestare la plebe, voglio uccidere se necessario. Pretendo l'egoismo che ho, e ne voglio ancora per usarlo per abusare di tutti quanti. Voglio sedermi sulla cima delle vostre teste per guardare dall'alto e spaccarvi il cervello mentre salto ancora più su. Poi voglio te su quel cazzo di letto e ti voglio adesso. Voglio il tuo amore per farti del male.
Se fossi qui ti stuprerei.
30 marzo 2008
Inghiottire il buio
Si scambiarono poche parole e molti sospiri, si nutrirono l'uno con il fiato dell'altra. Sembrava quasi potessero soffocarsi a vicenda. Camminarono vicini, giocando a rincorrere le ombre. Quando lui aprì il portone una lama di luce affettò l'atrio del suo appartamento, sembrava potesse tagliare anche l'equilibrio tra di loro, tanto era fragile, impalpabile. C'erano un letto, una sedia e un cavalletto, in quella casa. C'era la quiete di un lavoro fatto di gesti precisi.
I vestiti caddero uno dopo l'altro; in volo, leggeri, sembravano foglie ancora verdi ma già rifiutate da un albero sbadato. Scena terribile, quel suo denudarsi. Poi, quando ormai tra la pelle e l'aria c'era solo altra aria, si sciolse i capelli; e quel rosso vivo e vagabondo irruppe nell'ambiente vibrando come vibrano le ali di una libellula in volo. Quindi si fermò, in piedi, immobile; ed il silenzio che scaturì da quel suo evitare i gesti sembrava destinato a celebrarne la bellezza. Con le labbra ella stessa lo distrusse in un soffio, però. Sussurrando.
"Mi renderai più bella?"
Sembrava riflettere una lunga risposta, quell'uomo. Ma in cuor suo, in realtà, si sforzava a immaginare una bellezza migliore di quella. E falliva ad ogni suo tentativo. Quei minuti servirono a poco, soltanto a dar peso a una sola parola.
"Impossibile."
"E allora, che cosa farai?"
Di nuovo una pausa, questa volta la risposta era pronta ma in sè nascondeva la vita di quell'uomo. Difficile parlare, quando hai nelle parole una vita intera.
"Ti renderò eterna."
Lei stesa nel letto, lui in piedi o seduto, la tela a dividere in due quello strano connubio. Le dita erano sporche di mille colori, in mano un pennello ed in testa uno sguardo impegnato. Nel bianco di un quadro prendevano forma le curve di un corpo perfetto. Passarono giorni e la tela mostrava due occhi, passarono mesi ed apparve anche il naso, la bocca soltanto lo impegnò per un anno.
Non dissero niente, lei ferma aspettava senza guardare mai altrove se non in quel punto preciso nel mezzo dell'aria, dove aveva riposto dal primo istante la speranza e l'attesa. Nel mentre lo sguardo dell'uomo era fisso nel quadro, l'immagine di lei tutta nella sua testa. Era meticoloso nei modi, preciso nel muovere i colori senza sbagliare mai. Aggiungeva filamenti di luce, compiaciuto di ciò che appariva pian piano. Il tempo scorreva frettoloso, e chissà quanti anni passarono quando lui finalmente disse.
"Ho finito."
Fu allora che per la prima volta sorrise. Aveva, davanti, la donna più bella del mondo. Il ritratto perfetto, immagine di qualcosa di troppo potente per essere vero.
"Ho finito!"
Ribadì, prima di alzare gli occhi verso il letto. Ma nessuno rispose al suo fuoco di gioia. Distesa, una vecchia piangeva la vita perduta a farsi dipingere. Non aveva più giovinezza, quel corpo, era brutto e rugoso. La donna si alzò con le gambe tremanti, raccolse il vestito da terra e lo indossò per coprire le pieghe di un seno ormai sfatto. Si avvicinò al quadro, che mai aveva potuto vedere in quegli anni infiniti. Ma appena con lo sguardo toccò la bellezza di quella tela, il suo cuore non resse. E si fermò. Cadde al suolo goffamente, quando il viso toccò terra era già morta. Urlò, l'uomo. Gridò esclamazioni ormai vane, pestò i piedi, si strappò i capelli.
Poi tacque, di un silenzio fetido come il corpo ai suoi piedi. Pieno di rabbia sollevò il dipinto e lo lanciò, lo spezzò in due, poi con le scarpe lo polverizzò. Uscì dalla stanza chiudendo la porta dietro di sè. Sparì nel nulla, e nessuno seppe mai più niente di lui. I ricordi di chi lo conobbe svanirono presto.
Nel pavimento di quella casa però rimase un pezzo di tela un po' più grande degli altri. C'erano dipinte due labbra socchiuse. Brillavano di una bellezza innaturale. Rosse come il sole che albeggia, anch'esse sembravano inghiottire il buio.
La Pivetti e il linguaggio
[da Repubblica - Gli Altri Noi]