10 febbraio 2008

Atrio

Mi fermai un momento nell’atrio dell’ospedale, ad ascoltare una conversazione curiosa. Una madre, con lo sguardo di chi ha rischiato di perdere l’universo e lo ha protetto e riafferrato in un baleno, parlava con un’infermiera giovane e appagata dal suo lavoro eroico: la voce della signora era distratta, le domande e le risposte erano affrettate e fuori tema. Con le braccia stanche spingeva una sedia a rotelle versione mini, con sopra la figlia di nove o dieci anni, malridotta e un po’ sciupata ma sorridente, di quella felicità gratuita e asciutta che un adulto, per quanto si sforzi, non potrà mai condividere. La fermai con il pretesto di un accendino, le chiesi il perché di una bambina in carrozzella.
“Sa, Erica è intelligentissima. Capisce le cose al volo, le afferra a una rapidità strabiliante. A volte nemmeno riesco a starle dietro”.
“Si vede dagli occhi, che è una bambina speciale”.
“Però non riesce a scrivere. Impara di tutto alla velocità della luce, già fa i conti a mente. Ma non riesce a scrivere, e la punteggiatura sembra un ostacolo insormontabile”.
“Ma a scuola la maestra non riesce a fare niente?”
“La maestra non sa far altro che urlare che alla sua età dovrebbe saper leggere e scrivere senza difficoltà, non riesce proprio a capire che ha un problema ben più grave”.
“Dio, mi chiedo perché facciano insegnare certa gente...”
“La compagna di banco invece sa mettere i punti e virgola tutti al posto giusto, ma è una capra. E la maestra lì a dirle Ma che brava!, roba che spesso dopo la scuola mi ritrovavo Erica con gli occhi gonfi di lacrime e non capivo il perché”.
“E come lo ha capito, il perché?”
“Due settimane fa, la mattina presto, prima di vestirsi, Erica mi ha chiesto con la sua voce innocente: Mamma, ma secondo te è possibile pensare senza accorgersi di farlo?. Io ero stanca e nervosa, così senza pensarci su molto le ho risposto che no, non era possibile, che a scuola doveva concentrarsi e imparare senza distrarsi. Quel giorno all’ora di pranzo non è tornata, ha attraversato la strada col semaforo rosso e un cretino le è venuto sopra”.
“...Cristo”.
“L’abbiamo portata qui e hanno fatto tutto il possibile, e non c’è giorno in cui non ringrazi il sant’uomo che l’ha operata e me l’ha ridata come la vede lei ora. Rimarrà su una sedia a rotelle per il resto della sua vita, ma almeno è viva, e la sua intelligenza è rimasta intatta, così come il suo sorriso.
“Ieri era l’ultimo giorno qui in ospedale. A un certo punto durante l’ora di pranzo Erica mi ha fatto cenno di avvicinarmi, mi ha sussurrato all’orecchio: Mamma, avevo ragione io, mentre attraversavo stavo pensando senza accorgermene. Sa, questa volta le ho risposto”.
“E cosa le ha detto?”
“Che da due settimane lo faccio anche io tutte le notti”.

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