04 febbraio 2008

S.2

Caro vecchio, le tue mani rugose mi riscaldano il viso mentre mi trascini verso te per darmi un bacio di congedo, Che dio ti benedica, mi sussurri all'orecchio come sempre. L'imbarazzo dello schifo lo nascondo bene, la gioia per l'affetto che mi dai invece no, che disgraziato. E poi sei morto. Defunto tu, che mi hai lasciato nella mente un ruolo a tutto: questo è giusto e questo no, ripetevi, e quando sbagli troppe volte vai all’inferno. Ed io che a quel marasma in fiamme ci credevo, pieno dell’ingenuità di un piccolino, mi ritiravo accanto al letto a dire un po’ di Ave Marie per perdonare quella visitina in bagno e quella mano.
Caro vecchio so che non mi puoi ascoltare ma c’è qualcosa che avrei detto solo a te, che pure non mi consolavi nei miei pianti, e io ti odiavo, oh quale spreco di disprezzo. In questi giorni mi manchi più che mai, mi manca il cibo la domenica, le mele l’aglio e il vino. E poi quel senso di tensione che emanavi, sempre vigile a scappare, di chi è stato in mezzo a bombe, e morti, e aerei. C’è qualcosa che avrei detto solo a te, ed è l’amore, la pazzia. Raccontandoti avrei guardato in basso, le guance arrossate di vergogna. E poi tu mi avresti spinto via dicendo: no, non sei uno schiavo. Ma tra le mille sfumature avrei capito: sì, vale la pena.
Eravamo uguali, noi due. Per questo quando mi chiedono di te rispondo solo con le ciglia.

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