Ho una memoria eccezionale. La cosa fantastica è che la sfrutto per immagazzinare qualsiasi genere di informazioni, anche quelle più assurde. Come il rumore delle persone. Ogni individuo ha dei suoni caratteristici, un modo particolare e univoco di mettere l’ambiente in vibrazione durante qualsiasi cosa stia facendo; tipo che ne so, camminare, o spostare una sedia prima di occuparla, o sbattere lo sportello di una macchina. O rollarsi una canna. Ad esempio io sono in grado di riconoscere perfettamente tutti i modi diversi di chiudere l'ascensore che hanno le persone che conosco. C’è il suono discreto e pulito della mater, plop, poi c’è il clang forte e distratto di Coco, o il referenziale fruscio, sssssh, della porta accompagnata dalla mano del custode per non fare troppo chiasso. Per questo quandò suonò il campanello non fui sorpreso nel trovarmi davanti la faccia contratta e decisa del pater, alle undici del mattino del primo gennaio. Che scena: lui vestito di tutto punto, giacca blu in abbinato con i pantaloni, la camicia un po’ aperta e senza cravatta a significare una simbolica stretta di mano tra il mio mondo e il suo; io invece con addosso i calzoncini della tuta pieni di buchi per le troppe cicche finiteci sopra, e una felpa ormai rassegnata alle macchie di sugo con su scritto “sex makes you happy”. Il mago e il suo giovane apprendista, pensai. Provai molto ingenuamente a offrirgli qualcosa da bere, perché sono un tipo ospitale. Ma il mio facoltoso pater non sembrava gradire nulla che non costasse meno di dieci euro al litro, perciò decisi di tenere per me la mia cassa di Tennent’s e gli piazzai davanti la brocca riempita al rubinetto. Con un bicchiere di cristallo, ovviamente.
Sempre perché sono un tipo ospitale.
28 febbraio 2008
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