29 febbraio 2008

A luci spente

Sono le sette di sera e devo vestirmi di corsa perché è tardissimo. Mi metto quello che capita, senza stare a badarci molto. Faccio attenzione giusto ai calzini, ne ho un paio bucati e non vorrei fare brutta figura. Lei invece si sta agghindando da due ore, orecchini, collanine, maglioncini, tutto ino, ha iniziato alle tre ma comunque faccio lo stesso prima io; le donne sono sempre uguali, sussurro a denti stretti, mentre le do una mano a infilarsi il cappotto. Lei mi fulmina con gli occhi, per farmi perdonare le lascio un bacio sbarazzino sulla fronte e la trascino di corsa fuori di casa, ma appena apro l'ascensore ci accorgiamo che sta diluviando, di quella pioggia estiva che sembra conquistare il sole. Così le dico di aspettarmi e torno su a prendere un ombrello. Prima che si trasferisse da me non avevo mai avuto ombrelli, penso. Un altro segno del bene che mi fa.
Trovo sopra la macchina un volantino di un negozio di ferramenta. C'è scritto: "fatevi una sega". Ridiamo insieme. Fortunatamente sono un genio della guida, inoltre non c’è molto traffico, pare proprio siano partiti tutti nonostante il tempo, in questo grigio weekend di mezz’agosto. Perciò riesco a svicolare come un’anguilla e arriviamo davanti al teatro con qualche minuto d’anticipo; giusto in tempo per prenderci qualcosa al bar lì davanti. Un caffè per lei e un Aperol spritz per me, dico. Con poco ghiaccio per favore.
L’insegna fuori dalla sala mostra il volto di un uomo pensieroso, sotto c'è scritto: “If you have only one of something you can't say it's the best of anything”. Entriamo, un po’ di emozione nello sguardo di entrambi, la mia mano sulla sua. Forse lo immagino soltanto eppure sembra vero questo lampo di stupore nello sguardo della maschera che strappandoci il biglietto dice “Vi auguro un buono spettacolo” e si sente rispondere da lei mentre io rimango zitto: “Grazie”.
Poi lei mi sorride, allunga la mano per riprendere i biglietti. La spingo accanto a me mentre si spengono le luci.

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