Il blog, già. Il blog.
Non fossi così perdutamente attento a ciò che mi succede, neanche ci penserei più, al blog. Ma lo sono, e quindi ogni tanto mi casca l'occhio sulla desolazione degli avvenimenti di fuori, più che sul proliferarsi infinito di quelli di dentro. Magari non mi succede nulla, ed ecco come scorrono veloci anche quattro giorni di permanenza nell'acquario della stasi, senza che nessuno turbi quest'ordine così dogmatico, luterano: però non serve a niente guardarsi da dietro una gabbia, no?
E quindi c'è il blog. Che rompe il vetro dell'acquario, acqua dappertutto, un casino, corri a prendere gli stracci che si rovina il parquet.
E insomma quando uno è felice scrive poco, e io sono felice, ormai lo dico senza vergogna. Forse dovrei andare da un analista, da uno psicologo, prego si accomodi, insomma è lei il caso patologico dell'anno, la prima persona al mondo ad essere felice senza un motivo apparente, lei sa che ha bisogno di cure vero? Sono felice. Con tutto quello che c'è all'esterno dovrei arrossire, dovrei tenerlo per me, forse. Ma come si fa, quando sei così pieno di cose da non riuscire a trattenerle nemmeno con gli occhi o con la bocca, nemmeno con la pelle? La pelle, proprio lei, quella che fa piangere il cuore per davvero e che non va via nemmeno strofinando forte, e mica è come l'amore, che si lava col sapone e poi non resta più niente; e i Radiohead, questo, l'avevano capito da un secolo. La pelle non va via.
Ah, per finire.
I Klaxons. Sono grandi, io li ascolto spesso, questi giorni. Hanno quell'atmosfera agrodolce che li renderebbe perfetti sia per l'amante che per il nemico.
Magick.
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