Toph non dice una parola, è pensieroso. Scrive il suo nome sul finestrino appannato della macchina. Lo fa tenendo il pugno della mano stretto e muovendo tutto il braccio, di netto. Viene fuori una scritta tutta storta e tremolante. La P sembra una D e non c’è abbastanza spazio per la H. Ripenso a qualche mese fa, quando i suoi nervi erano malati a partire dalla spalla e non riusciva a muovere nemmeno le braccia. Sta migliorando ma voglio di più. Voglio le mani.
Voglio le dita.
“Aspetti qui?”, chiedo. “Ci metto un secondo.”
Annuisce, mugugna qualcosa. Mi chiedo se sia sicuro lasciare un tetraplegico da solo in macchina. Corro con le mani intrecciate sopra la testa, in un inutile tentativo di non bagnarmi troppo sotto alla pioggia che cade ancora, leggera ma inesorabile. Guardo indietro, Toph mi segue con gli occhi attraverso il vetro. Ad ogni passo lascio orme di fango dietro a me.
Il tipo del vivaio ha i baffi tagliati sottili e la mosca sopra al mento. In testa indossa un cappello di lana nero e un paio di scalda orecchie bianchi. È seduto a una scrivania a leggere il giornale. È ridicolo.
“Salve”, lo saluto, rimango con le mani in tasca. Fa un freddo cane. Il tipo continua a leggere e rimane in silenzio.
La stanza è piena di piante, do un’occhiata in giro. Ci sono gigli, ortensie e tulipani, ci sono dei grandi vasi con i limoni, ci sono orchidee di tutti i colori, composizioni di rose, gerbere e giacinti viola. Ci sono bouquet di margherite gialle e bianche, ci sono dei cesti di vimini pieni di ciclamini, mazzi di fiori secchi e spighe dorate, ci sono centrotavola con candele profumate, ci sono gardenie, camelie, ma soprattutto ci sono infinità di stelle di natale. Rosse, fredde e vive, sembrano tagliare la luce di netto.
“Sa che i veri fiori sono quelli gialli, all’interno”, dice il tipo. Finalmente alza gli occhi dalla pagina di giornale, indica le stelle di natale con un dito. “Le parti rosse sono soltanto normalissime foglie. ”
Mi avvicino ad una stella particolarmente grande, allungo la mano per toccarla.
“Fermo!”, mi urla all’improvviso. Mi blocco, ritraggo la mano. “Sono delicatissime. Soffrono il freddo, non vede come sanguinano?”
Quest’uomo è completamente pazzo.
“Mi scusi non lo sapevo”, sussurro spaventato.
Il tizio si accorge della mia espressione perplessa, scuote la testa con fare scocciato, chiude il giornale e si alza in piedi.
“Come posso aiutarla?”, chiede con tono secco e formale. Si toglie gli scalda orecchie e li posa sulla scrivania.
“Vede, mia madre ha deciso stamattina di volere a tutti i costi un albero di natale, e lei possiede l’unico vivaio aperto di tutta la città.”
Il tipo mi guarda per farmi capire che quell’introduzione è del tutto inutile e che ha passato la mattinata ad aiutare ritardatari come me.
“Sono rimasti soltanto quei due”, indica un angolo buio della stanza. Ci sono due alberi piccoli e piuttosto malmessi in un angolo. “Di meglio, oggi, non può pretendere.”
Mi avvicino ai due alberi. Sembrano identici, sono entrambi poco più alti di Toph, con la cima un po’ storta e non troppi rami disposti in modo asimmetrico tutto intorno.
“Quello sulla destra è transgenico”, dice il tipo, accenna un sorriso.
Rimango zitto con sguardo interrogativo.
“Non punge. Può accarezzarlo come fosse un cocker e non sentirà nessun dolore.” Fa un cenno con la testa. “Provi pure se vuole.”
Non ci credo.
Provo, passo la mano lungo un ramo e la lascio scorrere come sulla peluria di un peluche, sento un po' di solletico, niente di più.
“Incredibile”, sussurro a voce bassa.
“Vero?”, il tipo ora sorride mostrando i denti ingialliti, si sistema il cappello di lana. “Robe del genere andrebbero inventate più spesso.”
Mentre penso a una risposta da dare guardo indietro, verso la porta, seguo le mie orme fino a fuori. Sono rassicuranti.
"Vorrei l'altro", dico. "Quello che punge."
Lentamente stanno uccidendo tutti i nostri sogni.
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
1 commento:
L'ultima frase è davvero stupenda..... :P
Posta un commento