“Più veloce, forza, più veloce!”
Ho paura di scivolare mentre spingo la carrozzina sul parquet correndo da una parte all’altra del salone. Toph ride come un pazzo e mi incita, neanche fossi un cane da corsa. Evito all’ultimo secondo la libreria accanto alla cucina, poi curvo rapidamente appena prima dello stipite della porta tenendo la carrozzina in equilibrio su una ruota sola, scatto nel corridoio accanto alla tavola apparecchiata e per lo spostamento d’aria faccio volare via un tovagliolo di carta. Mi fermo soltanto quando i piedi di Toph sono a pochi centimetri dal divano. Sono bagnato di sudore, questo affare pesa un accidente.
“Che figata”, strilla lui con voce singhiozzante.
Tira su col naso e inarca le sopracciglia mettendole in quella posizione a V rovesciata che ogni volta mi fa morire dal ridere.
“Siamo i campioni dell’universo”, esclamo, intervallando le risate con ansimi di fatica.
Lo penso sul serio.
Raccolgo il tovagliolo da terra e lo rimetto sul tavolo, fischiettando faccio segno a Toph di non dire niente a mamma. Lui sbotta a ridere di nuovo.
Mia madre sta preparando qualcosa di strano, un fumo acre e pungente passa sotto la porta chiusa della cucina e arriva fino in salone. Nel frattempo canticchia Sunday Bloody Sunday con il suo timbro acuto e stridulo. Stamattina è insolitamente felice.
“Lo rifacciamo?”, Topher mi guarda con interesse.
Mi lascio cadere a peso morto sul divano fingendo di aver completamente perso le forze.
“No, sono distrutto Toph”, dico. “Ora mangiamo.”
Il suo viso sembra rabbuiarsi, cambia espressione con quel modo che ha lui di evitare le gradazioni intermedie, con un passaggio discreto e repentino.
“Non ho fame”, dice, ma sta palesemente pensando ad altro.
Allungo una mano ad afferrare una rivista abbandonata sul divano da mia madre, uno di quei periodici di carta patinata pieni di pubblicità di alta moda e di articoli assolutamente superflui. Scorro le pagine con disinteresse, sento lo sguardo di Toph sulle mie dita. Mi sorprendo a chiedermi per quanto ancora, in casa, varrà il tacito accordo di non riferirsi mai alla sua infermità.
“È pronto!”, urla mia madre da dietro la porta. “Qualcuno mi aiuta ad uscire?”
Io e Toph ci guardiamo un istante, poi mi sollevo a fatica. Un tempo avremmo litigato dieci minuti su chi dei due si sarebbe dovuto alzare per andare ad aiutarla.
Apro la porta e dalla cucina appare mia madre, con un canovaccio marroncino annodato intorno alla vita e una teglia in mano, circondata da una nuvola di fumo grasso e odoroso. Sembra l’ingresso pirotecnico di una pop-star ad un concerto estivo.
“Crepes con salmone e vodka”, esclama soddisfatta. Sorride scoprendo un numero incredibile di denti.
Toph mi guarda allibito, rispondo con uno sguardo altrettanto esterrefatto. Mia madre non ha mai voglia di cucinare. In questa casa sta succedendo qualcosa.
“Cosa fai lì imbambolato, aiutami a fare i piatti, su.”
È difficile sollevare le crepes dalla teglia senza romperle. Faccio un macello, ne rompo una e spargo tutto il ripieno sulla tovaglia, poi mia madre si alza di scatto, mi toglie il cucchiaio senza dire niente e mi fa segno di sedermi. Nelle sue mani sembra un’operazione semplicissima. Fa dei piatti perfetti.
“Vieni con noi al parco oggi?”, mi chiede Toph. “C’è la finale del torneo estivo di calcetto.”
Le crepes sono davvero buone, forse un po’ troppo cotte sul fondo.
“Siamo alla fine di settembre, che torneo estivo è?”
“Mica le decido io le date”, mi fa cenno con la testa di dargli un boccone. “Insomma vieni o no?”
Prendo con la forchetta un pezzo enorme di crepe e imbocco Toph stando attento a non sporcargli la maglia. Mentre mastica mi prendo un po’ di tempo per pensare.
“Non posso”, dico. “Devo andare da Beth.”
Bevo un lungo sorso d’acqua. Mi lecco le labbra.
“Che devi fare?”, chiede mia madre. “Potresti stare un po’ con la tua famiglia.”
“Cose zozze!”, urla Toph. Poi mi guarda, “dammene ancora.”
Lo imbocco di nuovo. Questa volta una cucchiaiata di sugo gli cola sui pantaloni. Non se ne accorge.
“Dobbiamo preparare i cd per la festa di stasera”, dico io.
“Smettila di dire cretinate Toph”, ribatte mia madre con sguardo irritato. Si gira verso di me, “e stasera che festa è? Ogni giorno una nuova.”
“È il compleanno di Adam, mamma”, dico rassegnato. “Fa la festa sulla spiaggia.”
Toph si guarda i pantaloni e scopre la macchia. Comincia a lamentarsi, in quel modo fastidioso che ha lui di attirare l’attenzione. “Ma che hai fatto, puliscimi, svelto prima che non se ne vada più!”
Strofino con un fazzoletto e faccio peggio, la macchia si spande su tutta la coscia.
“Una sera a casa mai eh?”, commenta mamma guardandomi.
“Guarda che disastro!”, urla Toph.
“Sto sempre a casa”, sostengo io.
“Non farmi ridere”, alza la voce lei.
“Che schifo!”, continua Toph.
“Non sono più un bambino, mamma!”, urlo.
“Piantala Toph”, afferma mia madre.
“Ma è colpa sua!”, strilla lui.
“E tu fai qualcosa no? Possibile che non sai fare niente?”, mi guarda arrabbiata.
“Ci sto provando, cazzo!”
“Non usare queste parole davanti a tuo fratello!”, si agita lei.
“Cazzo cazzo cazzo! Se lo dice lui lo dico pure io.”
“Toph guarda che ti do uno schiaffo, smettila subito.”
“Io devo andare.”
“Ma bravo, che famiglia unita, dai il buon esempio a tuo fratello.”
“Cazzo cazzo cazzo cazzo.”
“Ma cosa stai dicendo. Non siamo più un famiglia lo vuoi capire o no?”
“Cazzo cazzo cazzo.”
“Toph piantala subito!”
“Non si può essere una famiglia a metà.”
“Stai dicendo delle cose orribili.”
“Cazzo cazzo cazzo cazzo cazzo.”
“Delle cose orribili.”
Poi mamma scoppia a piangere.
Stringe la testa tra le mani, posa i gomiti sul tavolo e scoppia a piangere. Rimane così, immobile, con gli occhi umidi e rivolti verso il basso, sussultando per i singhiozzi interrotti ogni tanto da un respiro profondo. Piange per dieci minuti senza fermarsi mai. Io e Toph rimaniamo muti, guardando altrove, incrociando gli sguardi soltanto per brevi momenti. Ci vergogniamo entrambi.
Mamma si alza in piedi ed entra in cucina. Ne esce dopo qualche secondo con un fazzoletto di carta in mano, si strofina il contorno degli occhi con gesti delicati e secchi, come per non rovinare un trucco che non ha. Guarda entrambi in religioso silenzio. Si siede e prende in mano la forchetta. Prende un pezzo di crepe, si ferma un istante prima di portarlo alla bocca.
“Vi piacciono?”, chiede.
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1 commento:
è meraviglioso sav
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