28 aprile 2008

Un giorno importante

Beth viene ad aprirmi con i capelli tutti bagnati. Sta gocciolando sul parquet. Osservo l’acqua cadere a terra, prima ci sono soltanto piccole gocce separate, poi all’improvviso si uniscono l’una con l’altra e diventano una vera e propria pozza. Tra poco il legno comincerà a impregnarsi e diventerà pieno di rigonfiamenti. Sembreranno brufoli. Che schifo. E’ tutta colpa mia perché sono in anticipo di mezzora.
“Hai visto il telegiornale stamattina?”, mi dice tutta agitata.
“Che è successo?”
“Come, non lo sai?”
“Non so nulla!”
Le porte a casa di Beth sono sempre tutte aperte e il sole inonda di bianco il corridoio. La luce è fortissima, entra nelle cose e se mi sforzo posso vedere gli oggetti nei minimi dettagli. Posso arrivare a distinguere le molecole. O gli atomi. È per questo che il sole mi rende felice.
“Davvero non sai nulla?”, continua.
“Già. Dimmi che è morto Bush…”
“No, non è successo niente. In realtà volevo solo creare un po’ di allarmismo inutile.”
“Uff.”
“Mi serviva per sdrammatizzare un po’.”
“Sei tesa?”
“Molto.”
“Sei bellissima anche così.”
“Grazie.”
“Non è un complimento. È invidia.”
Mentre Beth si lima le unghie vado in cucina a prendere qualcosa da mangiare. Non ho fatto colazione e ho una fame pazzesca. Apro la credenza; trovo dei biscotti al cocco, due plumcake del discount e una scatola già aperta di cereali al cioccolato. Sembra tutto buonissimo e pieno di conservanti e agenti chimici. Sembra esattamente la tipologia di prodotto che mia madre osserva con disprezzo quando va al supermercato.
Scelgo i cereali e torno in camera. Devo avere la bocca molto sporca perché Beth scoppia a ridere appena mi vede, che bastarda.
“Aiutami ad allacciare questo affare.”
“Non sono in grado. Ma cos’è?”
“Idiota. È un vestito, sai, serve per non andare in giro nudi. Ha dei buchi per infilare le braccia e dei bottoni per chiuderlo sulla schiena.”
“Hai un libretto d’istruzioni?”
“No. Ecco vedi, questi rotondi sono i bottoni. Devi infilarli nei buchetti dall’altra parte.”
Fatto. Apro lo zaino con una mano sola perché l’altra è sporca di cioccolato. Faccio un casino e casca tutto per terra, le chiavi di casa, il portafoglio, l’ultimo numero di Scrittura Creativa e una grande busta di carta gialla. Beth ride ancora, io tiro fuori un foglio dalla busta.
“Ecco il programma.”, le dico.
“Fai vedere, fai vedere!”, urla piena di eccitazione.
Me lo strappa di mano e lo osserva con lo sguardo attento. In alto c’è una scritta in viola acceso: Saggio della classe della maestra Elizabeth Mills. In mezzo la foto di un bambino che suona un pianoforte. L’ho trovata su Google. Il bimbo è bellissimo, sembra minuscolo in confronto all’enormità dello strumento. Ho fatto un ottimo lavoro.
“È adorabile.”
“Sono contento che ti piaccia.”
“Però lo sai che odio essere chiamata Elizabeth.”
“Beh, è il tuo nome.”
“Non mi è mai piaciuto.”
“Ad ogni modo ho stampato anche la versione con scritto solo Beth.”
Mi sorride. Perché nessuno la conosce meglio di me.
“Usciamo?”
“Sì.”
È un giorno importante.

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