07 febbraio 2008

The Raveonettes Live 12/02

Mentre esce il nuovo singolo (Candy, una bella canzone il cui video piuttosto bruttino si vede da ieri un po' ovunque), e mentre il nuovo album (Lust! Lust! Lust!, uscito da un mesetto) spopola nelle collezioni indie di tutto il globo, i nordicissimi Raveonettes si divertono a girare in tour per il mondo. E passano per l'Italia, e fanno pure un sacco di date. Perfino Roma. Che è assurdo, dato che non ci viene mai un cane.
Comunque, se passate di lì, sappiate che il 12 febbraio sono al Circolo degli Artisti.
Noi ci saremo? Chi lo sa. Tra cinque giorni potrei essere morto. O in Alaska. O innamorato.
Intanto sono qui, e vi propongo la loro canzone più bella famosa.

04 febbraio 2008

S.3

Mi hai insegnato a fuggire l’odio, a evitare il dolore. Mi hai guidato la mano quando ero nel buio e mi hai ammaestrato sui turbinii dell’amicizia. In te ho trovato ristoro, la pace dei sensi quando tornavo a casa, il cibo sempre caldo e il letto fatto. Io che mi sentivo il più indifeso, con te ero il meno attaccabile, lo scudo mio fatto di te. Mi hai annoiato con le tue ramanzine, i tuoi rimproveri che conosco già tutti, ti stimo per questo. L’esperienza è grazie a te, il dono della pazienza e la mia volontà, il mio è un noviziato senza traumi.
Ma non mi hai insegnato a fuggire l’amore; parlandomi del mondo e dei suoi mille pericoli non lo hai mai menzionato. Eppure è per questo che oggi sto male, un sentimento finito è sufficiente a biasimare il tuo dono infinito. Dimmi dunque o madre mia, perché non mi hai tirato via da questo buco nero, perché non hai impedito che scavassi nell’alveo del mio orgoglio? Non ti immolo, però. Cerco subito una preda meno giusta.
Perché in guerra e nell’amore tutto vale.

S.2

Caro vecchio, le tue mani rugose mi riscaldano il viso mentre mi trascini verso te per darmi un bacio di congedo, Che dio ti benedica, mi sussurri all'orecchio come sempre. L'imbarazzo dello schifo lo nascondo bene, la gioia per l'affetto che mi dai invece no, che disgraziato. E poi sei morto. Defunto tu, che mi hai lasciato nella mente un ruolo a tutto: questo è giusto e questo no, ripetevi, e quando sbagli troppe volte vai all’inferno. Ed io che a quel marasma in fiamme ci credevo, pieno dell’ingenuità di un piccolino, mi ritiravo accanto al letto a dire un po’ di Ave Marie per perdonare quella visitina in bagno e quella mano.
Caro vecchio so che non mi puoi ascoltare ma c’è qualcosa che avrei detto solo a te, che pure non mi consolavi nei miei pianti, e io ti odiavo, oh quale spreco di disprezzo. In questi giorni mi manchi più che mai, mi manca il cibo la domenica, le mele l’aglio e il vino. E poi quel senso di tensione che emanavi, sempre vigile a scappare, di chi è stato in mezzo a bombe, e morti, e aerei. C’è qualcosa che avrei detto solo a te, ed è l’amore, la pazzia. Raccontandoti avrei guardato in basso, le guance arrossate di vergogna. E poi tu mi avresti spinto via dicendo: no, non sei uno schiavo. Ma tra le mille sfumature avrei capito: sì, vale la pena.
Eravamo uguali, noi due. Per questo quando mi chiedono di te rispondo solo con le ciglia.

S.

Ricordi per caso che suoni facevo quel giorno quando tu, con gli occhi al cielo ed i capelli un poco mossi, mi parlavi del tuo mondo, ed io che ti ascoltavo non capivo il perchè tutti quei gesti mi sembrassero assoluti? Ricordi il rumore del silenzio che mi usciva dalle labbra, il boato della mia inettitudine mentre, curioso, giocavo con i dadi del tuo destino? Scrivevo parole d’amore, a quei tempi, ne avevo sempre di nuove; mi trovavo a mio agio con i fiori e i profumi perché in quelli scoprivo l’aspetto di te, che eri in me.
Stasera, invece, lemmi nuovi non ne ho: quelli vecchi mi imbarazzano, non li meriti e per questo scappo via. Mi nascondo dietro al sottile di una sigaretta accesa, dietro al vetro terso di una bottiglia già vuota. Invento malanni e tra un bicchiere e l’altro finisco per crederci anch’io. Poi è l’ultimo tiro, si rivela confortante, le volute mi rispondono con una voce che è la tua. Dammi un bacio, mi chiedi. D’accordo.
Quello che non uccide, fortifica.