04 aprile 2008

Leggende

C’è un isola che appare tra i flutti di un oceano profondissimo dove agli uomini crescono i capelli al contrario; a venti anni quel groviglio li rende pazzi e si divorano a vicenda: per questo rimangono giovani. C’è nel cuore della giungla una tribù di cacciatori che hanno addomesticato le pantere e le cavalcano come fossero destrieri; quando un animale viene ucciso in battaglia, il cavaliere si toglie la vita, in segno di rispetto. Nascosta nelle alte montagne del Perù una scimmia ha imparato a parlare la lingua delle persone, spaventa gli erranti con le sue grida e le sue bestemmie: i contadini la chiamano Dio e costruiscono templi in suo onore. Su una nave un gruppo di pirati ha un occhio solo: l’altro l’hanno cavato l’uno all’altro, così da non temere le distanze più lunghe e raggiungere ogni angolo del globo. Raccontano alcuni viandanti solitari che tra le vie di Praga si incontra una zingara che ha sfuggito la morte ed ha più di trecento anni, nelle sue mani rimangono i segni di una vita tra guerre e carestie, nella sua memoria si incontrano le generazioni. Un villaggio nel mezzo della prateria ha costruito un muro tutto intorno; agli uomini non è permesso uscire: le donne invece possono arrivare all’esterno e procreare con la gente di fuori. A 12° 27’, 41° 55’ c’è un uomo che ogni giorno si sveglia con lo stesso pensiero in testa: pazzo, lo chiamano tutti; ma lui sa di essere sano.

Time to pretend

Mi sento violento, mi sento nudo, sono all'inizio della mia vita,
è l'ora di fare un po' di musica, di fare un po' di soldi, di trovare qualche modello per le nostre mogli.
Io andrò a Parigi, mi farò qualche pera di eroina e scoperò con le stelle,
tu dipenderai dall'isola, dalla cocaina e dalle macchine eleganti.
Questa è la nostra decisione: vivere veloci e morire giovani.
Ho avuto l'illuminazione, ora iniziamo a divertirci.
E' opprimente, ma cos'altro potremmo fare?
Trovare lavoro in qualche ufficio e svegliarci come pendolari mattinieri?
Dimentichiamoci delle nostre madri e dei nostri amici:
siamo destinati a pretendere,
a pretendere.
Mi mancheranno i parchi gioco, gli animali e scavare cercando vermi,
mi mancherà il conforto di mia madre e tutto il peso del mondo,
mi mancherà mia sorella, mio padre, il mio cane e la mia casa,
e mi mancherà la noia e la libertà e tutto il tempo passato da solo.
Ma non c'è niente, niente che possiamo fare;
l'amore va dimenticato, la vita può sempre ricominciare da capo.
I modelli avranno figli, noi otterremo un divorzio,
troveremo altri modelli e tutto seguirà il suo corso.

Poi affogheremo nel nostro stesso vomito, e quella sarà la fine.

MGMT

[aiutatemi a capire]

03 aprile 2008

E' l'ora di pretendere

[non posto mai due canzoni una dopo l'altra. ma questa volta il colpo di fulmine mi ha impedito di aspettare. enjoy.]

MGMT - Time to pretend

01 aprile 2008

Wish I was old and a little sentimental



Voglio spiccare sulla masse, calpestare la plebe, voglio uccidere se necessario. Pretendo l'egoismo che ho, e ne voglio ancora per usarlo per abusare di tutti quanti. Voglio sedermi sulla cima delle vostre teste per guardare dall'alto e spaccarvi il cervello mentre salto ancora più su. Poi voglio te su quel cazzo di letto e ti voglio adesso. Voglio il tuo amore per farti del male.

Se fossi qui ti stuprerei.

30 marzo 2008

Inghiottire il buio

Sorgeva il sole quando s'incontrarono sul Ponte Vecchio. Arancione e terra di Siena sopra l'Arno, e una sfera magenta che inghiottiva il buio. L'uomo trovò in quel preciso momento il significato stesso della sua vita, fatta di vuoti, di attimi e di immagini, e pensò che mai lo avrebbe potuto dimenticare: quella donna, quegli occhi, quell'istante e quel luogo sembravano parte di uno schema divino profondo e meticoloso. Insegnavano rispetto, e donavano dignità al suo lavoro. Pensò anche che era bellissima, lì, in quel vestito stretto e lungo. Perfino il suo profumo sembrava avere sostanza.

Si scambiarono poche parole e molti sospiri, si nutrirono l'uno con il fiato dell'altra. Sembrava quasi potessero soffocarsi a vicenda. Camminarono vicini, giocando a rincorrere le ombre. Quando lui aprì il portone una lama di luce affettò l'atrio del suo appartamento, sembrava potesse tagliare anche l'equilibrio tra di loro, tanto era fragile, impalpabile. C'erano un letto, una sedia e un cavalletto, in quella casa. C'era la quiete di un lavoro fatto di gesti precisi.

I vestiti caddero uno dopo l'altro; in volo, leggeri, sembravano foglie ancora verdi ma già rifiutate da un albero sbadato. Scena terribile, quel suo denudarsi. Poi, quando ormai tra la pelle e l'aria c'era solo altra aria, si sciolse i capelli; e quel rosso vivo e vagabondo irruppe nell'ambiente vibrando come vibrano le ali di una libellula in volo. Quindi si fermò, in piedi, immobile; ed il silenzio che scaturì da quel suo evitare i gesti sembrava destinato a celebrarne la bellezza. Con le labbra ella stessa lo distrusse in un soffio, però. Sussurrando.

"Mi renderai più bella?"

Sembrava riflettere una lunga risposta, quell'uomo. Ma in cuor suo, in realtà, si sforzava a immaginare una bellezza migliore di quella. E falliva ad ogni suo tentativo. Quei minuti servirono a poco, soltanto a dar peso a una sola parola.

"Impossibile."

"E allora, che cosa farai?"

Di nuovo una pausa, questa volta la risposta era pronta ma in sè nascondeva la vita di quell'uomo. Difficile parlare, quando hai nelle parole una vita intera.

"Ti renderò eterna."

Lei stesa nel letto, lui in piedi o seduto, la tela a dividere in due quello strano connubio. Le dita erano sporche di mille colori, in mano un pennello ed in testa uno sguardo impegnato. Nel bianco di un quadro prendevano forma le curve di un corpo perfetto. Passarono giorni e la tela mostrava due occhi, passarono mesi ed apparve anche il naso, la bocca soltanto lo impegnò per un anno.

Non dissero niente, lei ferma aspettava senza guardare mai altrove se non in quel punto preciso nel mezzo dell'aria, dove aveva riposto dal primo istante la speranza e l'attesa. Nel mentre lo sguardo dell'uomo era fisso nel quadro, l'immagine di lei tutta nella sua testa. Era meticoloso nei modi, preciso nel muovere i colori senza sbagliare mai. Aggiungeva filamenti di luce, compiaciuto di ciò che appariva pian piano. Il tempo scorreva frettoloso, e chissà quanti anni passarono quando lui finalmente disse.

"Ho finito."

Fu allora che per la prima volta sorrise. Aveva, davanti, la donna più bella del mondo. Il ritratto perfetto, immagine di qualcosa di troppo potente per essere vero.

"Ho finito!"

Ribadì, prima di alzare gli occhi verso il letto. Ma nessuno rispose al suo fuoco di gioia. Distesa, una vecchia piangeva la vita perduta a farsi dipingere. Non aveva più giovinezza, quel corpo, era brutto e rugoso. La donna si alzò con le gambe tremanti, raccolse il vestito da terra e lo indossò per coprire le pieghe di un seno ormai sfatto. Si avvicinò al quadro, che mai aveva potuto vedere in quegli anni infiniti. Ma appena con lo sguardo toccò la bellezza di quella tela, il suo cuore non resse. E si fermò. Cadde al suolo goffamente, quando il viso toccò terra era già morta. Urlò, l'uomo. Gridò esclamazioni ormai vane, pestò i piedi, si strappò i capelli.

Poi tacque, di un silenzio fetido come il corpo ai suoi piedi. Pieno di rabbia sollevò il dipinto e lo lanciò, lo spezzò in due, poi con le scarpe lo polverizzò. Uscì dalla stanza chiudendo la porta dietro di sè. Sparì nel nulla, e nessuno seppe mai più niente di lui. I ricordi di chi lo conobbe svanirono presto.

Nel pavimento di quella casa però rimase un pezzo di tela un po' più grande degli altri. C'erano dipinte due labbra socchiuse. Brillavano di una bellezza innaturale. Rosse come il sole che albeggia, anch'esse sembravano inghiottire il buio.

La Pivetti e il linguaggio

In occasione dell'undicesimo anniversario del naufragio della Kater I Rades (nel quale morirono 108 cittadini albanesi che tentavano di raggiungere l'Italia) torniamo a chiedere a Irene Pivetti perché mai, il 27 marzo del 1997, lanciò la proposta di "buttare in mare" i migranti irregolari. Un anno fa, in occasione del decennale della tragedia, ponemmo lo stesso quesito e annunciammo che, in assenza di una risposta, l'avremmo riproposto a ogni anniversario. La risposta non è arrivata ed eccoci nuovamente qua. Sia chiaro: non c'è alcun accanimento nei confronti di Irene Pivetti. Siamo tra quelli che hanno apprezzato la sua decisione di abbandonare l'attività politica e anzi hanno sperato che quella scelta coraggiosa fosse assunta a modello da altri. Inoltre alla collega Pivetti va dato atto che quella sua frase agghiacciante è stata in seguito superata da altre e, insomma, non è più ai vertici delle dichiarazioni razziste pronunciate da politici italiani. In questi anni abbiamo sentito e visto ben altro. Dalla maglietta di Calderoli che riuscì a scatenare una rivolta in Libia, alle perplessità di Gianfranco Fini attorno al nero Barak Obama. ...[CONTINUA SUL LINK]


[da Repubblica - Gli Altri Noi]