07 luglio 2007

Snow Patrol - Chasing Cars

E' che non volevo postarla. Ma non mi usciva dalla testa, e quindi forse mettendola qui la tolgo per un po' da dentro me.

Let's Waste Time

Il mondo dal clima ammalato saluta con qualche lacrima in più uno dei momenti più emozionanti di questo live earth. Per il sottoscritto, certamente il migliore.


Let's waste time
Chasing cars
Around our heads

I need your grace
To remind me
To find my own

06 luglio 2007

7.7.07


Damien Rice. Bloc Party. James Blunt. Razorlight. Foo Fighters. Keane. Paolo Nutini. Kasabian. Snow Patrol. Madonna. Mando Diao. Dave Matthews Band. Kt Tunstall. Fall Out Boy. The Police. Smashing Pumpkins. Per un totale di miliardi di alberi bruciati per garantire l'energia sufficiente a farli cantare tutti, alla faccia del pianeta in pericolo. Per un totale di ore ed ore di godimento del sottoscritto, e 'sti gran cazzi del pianeta, a quello pensiamo da dopodomani.
Scherzo, qui è roba grossa. Mica pizza e fichi.

io - Hor

Scusa, non posso parlare più forte.
Non so quando riuscirai a sentirmi, me che ti parlo.
Ma riuscirai mai a sentirmi?
Il mio nome è Hor.
Ti prego, accosta l'orecchio alla mia bocca, per quanto tu possa essere lontano, ancora adesso o sempre. Altrimenti non posso farmi capire da te. E, anche se ti degnerai di esaudire la mia preghiera, resteranno tanti silenzi che dovrai riempire da solo. Ho bisogno della tua voce, quando la mia viene meno.
Questa debolezza è dovuta forse al modo in cui Hor vive. Per quanto possa ricordare, egli ha sempre vissuto in un edificio gigantesco, completamente vuoto, in cui ogni parola pronunciata ad alta voce provoca un'eco destinata a non spegnersi.
Per quanto possa ricordare. Che cosa significa?
Nei suoi giri quotidiani attraverso le sale e i corridoi, Hor si imbatte a volte nell'eco errabonda di un qualche grido che lui stesso ha un tempo sbadatamente lanciato. Siffatto incontro col proprio passato gli procura gran pena, tanto più che la parola allora sfuggita ha perso nel frattempo forma e sostanza fino a diventare irriconoscibile. A quello stupido balbettio adesso Hor non ha più intenzione di esporsi.
Si è abituato ad usare la voce - quando la usa - solo al di sotto di quel limite oscillante oltre il quale essa prodice un'eco. Tale limite supera di poco il silenzo assoluto, dal momento che la casa ha un udito crudelmente fine.
Lo so che pretendo molto, ma dovrai addirittura trattenere il respiro se vorrai udire le parole di Hor. Gli organi della lingua gli si sono atrofizzati per il troppo tacere... si sono modificati.
Hor non potrà aprlarti con chiarezza maggiore di quella che hanno le voci che odi poco prima di addormentarti. E tu dovrai mantenerti in equilibrio sul filo sottile che separa il sonno dalla veglia, oppure galleggiare come coloro per i quali il sotto e il sopra sono la stessa cosa.
Il mio nome è Hor.
Meglio sarebbe dire: io mi chiamo Hor. Perchè chi, a parte me, mi chiama per nome?
Ho già spiegato che la casa è vuota? Voglio dire, completamente vuota. Per dormire Hor si raggomitola in un angolo o si straia per terra là dove già si trova, anche al centro di una sala, nel caso che le pareti siano troppo distanti.
Hor non ha problemi di alimentazione. La sostanza che compone le pareti e le colonne è commestibile... almeno per lui. E' una materia giallastra, un po' trasparente, la cui ingestione placa subito fame e sete. Peraltro, a questo riguardo, le esigenze di Hor sono davvero minime.
Egli non si cura dello scorrere del tempo. Non ha modo di misurarlo se non attraverso il battito del proprio cuore, che èerò è mutevole. Non conosce il giorno e la notte, lo circonda una perpetua luce crepuscolare.
Quando non dorme, gira di qua e di là, senza meta. Lo fa semplicemente per un impulso, un bisogno la cui soddisfazione gli provoca piacere. Solo di rado gli accade di entrare in una stanza che crede di riconoscere, che gli sembra familiare, come se un tempo vi fosse già stato. D'altro canto, spesso, sicuri indizi gli fanno capire di passare da un posto in cui è già stato una volta: lo spigolo mangiucchiato di una parete, per esempio, o un mucchietto di escrementi secchi. La stanza gli è comunque estranea al pari delle altre. Forse in sua assenza le stanze cambiano, crescono, si allargano o si restringono. Forse è proprio il suo passaggio a provocare tali mutamenti, però non ama questo pensiero.
Che, a parte Hor, qualun altro abiti in questa casa lo escludo. Certo, vista l'incredibile ampiezza dell'edificio, non è dato provarlo. E' tanto poco probabile quanto impossibile.
Molte stanze hanno delle finestre, ma a loro volta queste danno soltanto su altri locali, in genere più vasti. Sebbene l'esperienza finora non gli abbia insegnato altro, di quando in quando Hor si trova a immaginare di giungere un giorno a un'ultima, estrema parete, le cui finestre offrano la vista di qualcosa di completamente diverso. Hor non sa dire di che cosa potrebbe trattarsi, ma talora si lascia andare a lunghe meditazioni sull'argomento. Sarebbe falso affermare che egli addirittura brami una tale vista: è soltanto una specie di gioco, l'invenzione fine a se stessa delle più svariate possibilità. Nei suoi sogni, comunque, ha goduto a volte di tali vedute, senza però averne conservato, al risveglio, qualcosa da poter comunicare. Sa solo che si è trattato appunto di questo e che quasi sempre si è destato col viso inondato di lacrime. Ma Hor attribuisce poca importanza alla cosa, la ricorda soltanto per la sua singolarità.
Mi sono espresso male. Hor non sogna, e non ha neppure ricordi propri. E tuttavia la sua intera esistenza è piena dei terrore e delle estasi legate a esperienze che assalgono la sua anima a mo' d'improvvisi ricordi.
Certo non sempre. Talvolta, per lungo tempo, la sua anima resta quieta come un immobile specchio d'acqua, mentre in altri momenti queste esperienze lo aggrediscono da ogni lato, angustiandolo, abbattendosi su di lui come lampi, ed egli fugge per i corridoi deserti, barcolla finché, stremato, cade a terra e lì resta, vinto. Perché contro di esse è privo di difese.
A mo' di improvvisi ricordi. Ho detto così?
Mi chiamo Hor.
Ma chi è questo: io - Hor? Sono soltanto una persona contemporaneamente? E tutte le altre persone che vivono là fuori, oltre quell'ultima, estrema parete? E non sanno nulla delle loro esperienze, nulla dei loro ricordi, dato che essi non trovano dimora presso di loro, là fuori? Ah, ma da Hor restano, vivono con la sua vita, lo assalgono senza pietà. Si uniscono a lui, che se li tira dietro come uno strascico, già ora interminabile, che scivola attraverso le sale e le stanze e sempre più cresce, cresce.
Oppure qualcosa di mio arriva fino a voi là fuori, a quell'uno o a quei molti che siete tutt'uno con me come le api e la loro regina? Mi sentita, membra del mio corpo sparso? Sentite le mie impercettibili parole, ora o fuori dal tempo? Per caso cerchi me, oh mio altro io? Cerchi Hor, che sei tu stesso? Cerchi il tuo ricordo che è presso di me? Forse che, come stelle, ci avviciniamo l'uno all'altro attraverso spazi infiniti, passo dopo passo, immagine dopo immagine?
E arriveremo mai a incontrarci, un giorno o fuori del tempo?
E che cosa saremo allora? O non saremo più? Ci annulleremo a vicenda come il sì e il no?
Ma di una cosa puoi essere certo: io avrò serbato tutto con cura.
Il mio nome, è Hor.

Michael Ende - "Lo Specchio nello Specchio"

05 luglio 2007

La vita è un insieme di luoghi e di persone che scrivono il tempo.

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Critiche e limiti

Nelle considerazioni svolte abbiamo a più riprese implicitamente fatto uso della nozione che l'azione esercitata su un punto materiale in un sistema inerziale ha l'origine in uno o più altri corpi. E' possibile pensare di idealizzare le esperienze di base fino a giungere a considerare due punti materiali isolati dal resto del mondo: vi è allora solo da considerare l'azione che ciascuno dei due punti esercita sull'altro. Si trova sempre che si tratta di una mutua interazione, nel senso che alla forza che il primo punto esercita sul secondo corrisponde una forza che il secondo esercita sul primo, e le due forze sono dirette lungo la congiungente i due punti, hanno la stessa intensità e versi opposti.
Allo studente però non saranno sfuggite alcune difficoltà che si incontrano nel cercare di introdurre elementarmente i principi della meccanica newtoniana in maniera logicamente rigorosa e completamente soddisfaciente. Le difficoltà più ovvie si hanno, ad esempio, nel precisare il sistema di riferimento in cui il principio così introdotto è stabilito: sono già note le difficoltà di definizione di sistemi inerziali con ragionamenti di successive approssimazioni ed estrapolazioni e la conseguente difficoltà di determinare sperimentalmente tali sistemi.
In un vastissimo campo di applicazioni però la meccanica classica è un'ottima approssimazione delle nuove teorie sviluppate in seguito ad essa, e le correzioni che andrebbero apportate sono del tutto trascurabili. Inoltre, va sottolineata l'importanza della meccanica classica per le prospettive che tali risultati hanno aperto in un gran numero di fenomeni complessi, non solo in fisica ma anche in altre scienze, in economia, e nelle scienze sociali.

Colpe


Oggi per me è tutta colpa dei drammi speciali, delle grandi tristezze speciali, dei miei denti da latte da bimbo spuntati di nuovo per colpa dei miei anni speciali. Tutta colpa delle mie amicizie speciali, delle mie vecchie storie speciali, delle mie conoscenze speciali. Tutta colpa di quella speciale ironia che mi precede da anni, di quei guanti speciali che metto per non lasciar traccia, di questa luce speciale, di quella speciale sintetica gentilezza che tira le gote e sorride per me. Tutta colpa di quelle parole che lasciano sul cuore ferite speciali, di quei pensieri speciali, di quei passi che portano gli altri verso fantastici incontri speciali, e soprattutto dei miei speciali desideri di portare la mia speciale vendetta nell'anima di persone che non sono speciali per niente. Tutta colpa di chi mi ricorda l'amore ma non se lo merita. Stanotte è un po' più colpa mia che non colpa degli altri.


Ed io sono stanco, non sono più triste. 'Chè come con calce e mattoni ci sto costruendo davanti una parete bianchissima. Mi metterò presto a cercare vernice di teste di amore di cuori di denti di occhi di labbra e saliva e baciando dipingerò tutto col dritto contorno di solida similitudine che riesce a distinguere chi piace a me.
E poi sarà chiaro chi sei a guardarmi dal muro, sarai solo tu la mia cosa speciale, e lì ti amerò.

02 luglio 2007

La caverna.

Stanotte a un certo punto ho aperto gli occhi tutto a un tratto, avevo sete. Sono uscito dalla stanza e sono andato come al solito alla cieca fin davanti alla cucina; poi ho cercato con la mano per accendere la luce. Ho sfiorato con le dita nella zona dove so l'interruttore è sempre stato, ma con grande mia sorpresa ho sentito solo tutto liscio, era sparito e mi son costretto a stare al buio; sono entrato e sono andato verso il frigo. Ci ho sbattuto contro mano testa e piedi, la maniglia era più grande e poi la porta ben più dura! Ho tirato per aprire e non si è accesa alcuna luce, anzi dentro il buio era ancor più denso e in un istante il nero fuori era grigiastro al suo confronto. Poi non c'era quel bel fresco che dovrebbe dentro a un frigo: anzi, sotto alle caviglie si addensava un fumo caldo e vaporoso. Non capendoci un bel niente ho allungato la mia mano verso l'acqua, e che spavento nel sentire che al suo posto c'era il vuoto, nè scomparti nè gli yomo nè la mia bottiglia fredda! Era solo tutto caldo e tutto nero e senza forma, mentre ai lati c'era duro ed era il duro della pietra; ricordava un po' l'ingresso a una caverna. Come quando nei film horror gli succedono le cose più tremende e loro vanno nuovamente verso quella fine orrenda, così io mi son deciso e invece di tornare a letto sono entrato dentro il frigo, sarà stato il mezzo sonno lo scompenso o il tradimento per la mia bevanda persa. Mi son detto: "non succede tutti i giorni di trovarsi una caverna a pernottarti dentro casa", e non mi colpiva affatto la stranezza del soggiorno dietro al muro, che non c'era invece dentro al buio nero. Ho camminato tra gli sterpi e i sassolini, i piedi nudi doloranti ed arrossati, sempre attento con le mani verso avanti a non ferirmi a qualche spigolo, e non capivo se salivo se scendevo o andavo dritto. Dopo un po', sarà passato un quarto d'ora, ho sentito in fronte a me una cosa fredda a ostacolarmi. Ecco ancora una maniglia come quella abbandonata poco prima, e davanti un gran portone duro e scuro come il marmo; ho tirato e non si è smosso proprio niente, ecco allora che l'ho spinto e si è spostato, pochi passi ed ho sentito il suolo stabile di un bell'appartamento, un po' di luce che filtrava a illuminare fiocamente gli occhi miei ancora colmi di quel buio puzzolente. Non capendo dove fossi capitato mi son mosso, i passi scalzi ad attutir gli spostamenti. Sono uscito da una porta più normale, ed ho capito finalmente dove stavo: con stupore e un po' di cuore a far da filtro ho proseguito fino ad una stanza sola: ed ecco il letto dove mani sotto il capo ed occhi chiusi stavi tu, il fiato di chi dorme bene ma non troppo. Mi sono accorto che la notte era un po' umida e ti stavi raffreddando, così senza disturbare ho preso un velo di lenzuola da lì accanto, e le ho posate senza peso addosso a te per riscaldarti appena un po'; nemmeno un attimo e il respiro si è placato, ho capito ch'eri a posto e soddisfatto son tornato sui miei passi. Pochi metri ed un rumore di un adulto sveglio proprio lì vicino, son scappato in fretta e furia fin nell'antro misterioso, poi correndo son finito all'altra parte, ho spinto forte e son cascato a faccia avanti nella mia bella cucina. Senza fiato per la corsa e ancora mezzo spaventato sono andato verso il frigo per sentir di nuovo roccia e fumo caldo: ma ad aprire ecco la luce e i cibi vari, la bottiglia che sognavo congelata avanti a me. Son tornato a pancia vuota e a testa piena dentro il letto, mille vortici di idee lì a tormentarmi di sorrisi. Ho immaginato quello sguardo al tuo risveglio per la notte andata avanti un poco meglio grazie a me. E ho ringraziato la caverna: a collegarci col pensiero, nuovamente.

Strange infatuation seems to grace the evening tide


E' il caso di dirlo, sono alcune-cose-dipendente. Soltanto alcune cose hanno il potere di crearmi assuefazione; sono rare e sempre quelle, ed ecco che se ne scopro una nuova sono spesso spaventato. Perchè le mie ossessioni sono quasi irresistibili, mi sembra di non viverne abbastanza e voglio sempre che ci siano un poco ancora. Piango quando una di queste non mi appartiene più, la vorrei di nuovo e non mi sembra di resistere. Non mi abbasso a tutti i vizi della terra, sono forte con la mente a volontà: ma per queste alcune-cose non c'è verso di placarmi, urlo forte stringo i denti ma pretendo di toccarle. L'altro giorno mi accorgevo di una nuova mia ossessione, era tanto che non era così forte, una new entry. Quando capita così mi trovo stretto e circondato: provo subito a evitare questa cosa che mi turba, ma lo so e ci ho fatto il callo, vince sempre l'ossessione. Non ci riesco quasi mai a far passare il desiderio. Questa sera tre persone mi ricordano il misfatto, con la voce un po' gracchiante, quelle stridule chitarre, e il loro ambiguo e sicurissimo sfilarsi dai clichè.
Io vedrò di respirare, tra un ascolto e un batticuore; anche se mi mancherà sempre qualcosa accanto a me. Perchè quando non ci sta quello che voglio io sono un niente.

01 luglio 2007

I Can't Replace

Percorri le strade veloce come un razzo, canzone mia. E non fermarti ai semafori, corri, non guardarti intorno mentre curvi, non esitare mai un momento. Sali nel cielo, supera le macchine e il traffico e le persone che non sanno cosa stanno rallentando, fatti trascinare dai gabbiani, unisciti alle correnti, diventa amica del vento. Poi fermati quando sai che devi fermarti, passa piano sotto lo stipite della finestra. E sussurrati dentro le orecchie di chi sai, delicatamente, piano, senza forzare troppo.
Parti ora però.
Aiutami.