06 luglio 2007

io - Hor

Scusa, non posso parlare più forte.
Non so quando riuscirai a sentirmi, me che ti parlo.
Ma riuscirai mai a sentirmi?
Il mio nome è Hor.
Ti prego, accosta l'orecchio alla mia bocca, per quanto tu possa essere lontano, ancora adesso o sempre. Altrimenti non posso farmi capire da te. E, anche se ti degnerai di esaudire la mia preghiera, resteranno tanti silenzi che dovrai riempire da solo. Ho bisogno della tua voce, quando la mia viene meno.
Questa debolezza è dovuta forse al modo in cui Hor vive. Per quanto possa ricordare, egli ha sempre vissuto in un edificio gigantesco, completamente vuoto, in cui ogni parola pronunciata ad alta voce provoca un'eco destinata a non spegnersi.
Per quanto possa ricordare. Che cosa significa?
Nei suoi giri quotidiani attraverso le sale e i corridoi, Hor si imbatte a volte nell'eco errabonda di un qualche grido che lui stesso ha un tempo sbadatamente lanciato. Siffatto incontro col proprio passato gli procura gran pena, tanto più che la parola allora sfuggita ha perso nel frattempo forma e sostanza fino a diventare irriconoscibile. A quello stupido balbettio adesso Hor non ha più intenzione di esporsi.
Si è abituato ad usare la voce - quando la usa - solo al di sotto di quel limite oscillante oltre il quale essa prodice un'eco. Tale limite supera di poco il silenzo assoluto, dal momento che la casa ha un udito crudelmente fine.
Lo so che pretendo molto, ma dovrai addirittura trattenere il respiro se vorrai udire le parole di Hor. Gli organi della lingua gli si sono atrofizzati per il troppo tacere... si sono modificati.
Hor non potrà aprlarti con chiarezza maggiore di quella che hanno le voci che odi poco prima di addormentarti. E tu dovrai mantenerti in equilibrio sul filo sottile che separa il sonno dalla veglia, oppure galleggiare come coloro per i quali il sotto e il sopra sono la stessa cosa.
Il mio nome è Hor.
Meglio sarebbe dire: io mi chiamo Hor. Perchè chi, a parte me, mi chiama per nome?
Ho già spiegato che la casa è vuota? Voglio dire, completamente vuota. Per dormire Hor si raggomitola in un angolo o si straia per terra là dove già si trova, anche al centro di una sala, nel caso che le pareti siano troppo distanti.
Hor non ha problemi di alimentazione. La sostanza che compone le pareti e le colonne è commestibile... almeno per lui. E' una materia giallastra, un po' trasparente, la cui ingestione placa subito fame e sete. Peraltro, a questo riguardo, le esigenze di Hor sono davvero minime.
Egli non si cura dello scorrere del tempo. Non ha modo di misurarlo se non attraverso il battito del proprio cuore, che èerò è mutevole. Non conosce il giorno e la notte, lo circonda una perpetua luce crepuscolare.
Quando non dorme, gira di qua e di là, senza meta. Lo fa semplicemente per un impulso, un bisogno la cui soddisfazione gli provoca piacere. Solo di rado gli accade di entrare in una stanza che crede di riconoscere, che gli sembra familiare, come se un tempo vi fosse già stato. D'altro canto, spesso, sicuri indizi gli fanno capire di passare da un posto in cui è già stato una volta: lo spigolo mangiucchiato di una parete, per esempio, o un mucchietto di escrementi secchi. La stanza gli è comunque estranea al pari delle altre. Forse in sua assenza le stanze cambiano, crescono, si allargano o si restringono. Forse è proprio il suo passaggio a provocare tali mutamenti, però non ama questo pensiero.
Che, a parte Hor, qualun altro abiti in questa casa lo escludo. Certo, vista l'incredibile ampiezza dell'edificio, non è dato provarlo. E' tanto poco probabile quanto impossibile.
Molte stanze hanno delle finestre, ma a loro volta queste danno soltanto su altri locali, in genere più vasti. Sebbene l'esperienza finora non gli abbia insegnato altro, di quando in quando Hor si trova a immaginare di giungere un giorno a un'ultima, estrema parete, le cui finestre offrano la vista di qualcosa di completamente diverso. Hor non sa dire di che cosa potrebbe trattarsi, ma talora si lascia andare a lunghe meditazioni sull'argomento. Sarebbe falso affermare che egli addirittura brami una tale vista: è soltanto una specie di gioco, l'invenzione fine a se stessa delle più svariate possibilità. Nei suoi sogni, comunque, ha goduto a volte di tali vedute, senza però averne conservato, al risveglio, qualcosa da poter comunicare. Sa solo che si è trattato appunto di questo e che quasi sempre si è destato col viso inondato di lacrime. Ma Hor attribuisce poca importanza alla cosa, la ricorda soltanto per la sua singolarità.
Mi sono espresso male. Hor non sogna, e non ha neppure ricordi propri. E tuttavia la sua intera esistenza è piena dei terrore e delle estasi legate a esperienze che assalgono la sua anima a mo' d'improvvisi ricordi.
Certo non sempre. Talvolta, per lungo tempo, la sua anima resta quieta come un immobile specchio d'acqua, mentre in altri momenti queste esperienze lo aggrediscono da ogni lato, angustiandolo, abbattendosi su di lui come lampi, ed egli fugge per i corridoi deserti, barcolla finché, stremato, cade a terra e lì resta, vinto. Perché contro di esse è privo di difese.
A mo' di improvvisi ricordi. Ho detto così?
Mi chiamo Hor.
Ma chi è questo: io - Hor? Sono soltanto una persona contemporaneamente? E tutte le altre persone che vivono là fuori, oltre quell'ultima, estrema parete? E non sanno nulla delle loro esperienze, nulla dei loro ricordi, dato che essi non trovano dimora presso di loro, là fuori? Ah, ma da Hor restano, vivono con la sua vita, lo assalgono senza pietà. Si uniscono a lui, che se li tira dietro come uno strascico, già ora interminabile, che scivola attraverso le sale e le stanze e sempre più cresce, cresce.
Oppure qualcosa di mio arriva fino a voi là fuori, a quell'uno o a quei molti che siete tutt'uno con me come le api e la loro regina? Mi sentita, membra del mio corpo sparso? Sentite le mie impercettibili parole, ora o fuori dal tempo? Per caso cerchi me, oh mio altro io? Cerchi Hor, che sei tu stesso? Cerchi il tuo ricordo che è presso di me? Forse che, come stelle, ci avviciniamo l'uno all'altro attraverso spazi infiniti, passo dopo passo, immagine dopo immagine?
E arriveremo mai a incontrarci, un giorno o fuori del tempo?
E che cosa saremo allora? O non saremo più? Ci annulleremo a vicenda come il sì e il no?
Ma di una cosa puoi essere certo: io avrò serbato tutto con cura.
Il mio nome, è Hor.

Michael Ende - "Lo Specchio nello Specchio"

1 commento:

Anonimo ha detto...

Accade
che le affinitá d'anima non giungano
ai gesti e alle parole ma rimangano
effuse come un magnetismo. É raro
ma accade.

Puó darsi
che sia vera soltanto la lontananza,
vero l'oblio, vera la foglia secca
piú del fresco germoglio. Tanto e altro
puó darsi o dirsi.

Comprendo
la tua caparbia volontá di essere sempre assente
perchè solo così si manifesta
la tua magia. Innumeri le astuzie
che intendo.

Insisto
nel ricercarti nel fuscello e mai
nell'albero spiegato, mai nel pieno, sempre
nel vuoto: in quello che anche al trapano
resiste.

Era o non era
la volontá dei numi che presidiano
il tuo lontano focolare, strani
multiformi multanimi animali domestici;
fors'era così come mi pareva
o non era.

Ignoro
se la mia inesistenza appaga il tuo destino,
se la tua colma il mio che ne trabocca,
se l'innocenza é una colpa oppure
si coglie sulla soglia dei tuoi lari. Di me,
di te tutto conosco, tutto
ignoro.
Eugenio Montale, Ex Voto