20 gennaio 2008

Lettera dallo spazio astrale.

Oh, genere umano. Ma che fine ho fatto?
Mi sciolgo nel fumo e nell'aria, sparisco per terra, macchio l'acqua dell'assenza di un uomo. Rimangono di me solo parole: frasi lunghe e distinte, citazioni dal vangelo e aria fritta. Le mie specialità.
Dissipatio, dissipatio, come mai sono fuggito senza dare segno alcuno? Cosa in voi non mi ha fermato, cosa in me non mi soddisfa? Vado urlando frasi fatte, ma nel vuoto dell'eclissi dove sto non c'è nemmeno l'ombra di un eco lontana. Nessun ritorno di suono, di luce, di odore. Il vento esce da me e non mi visita mai, trascina i profumi con sè. Quando guardo allo specchio vedo quello che c'è oltre - è vetro, è aria. E se parlo: che strano sentire la voce azzittita dal niente.
Nell'infinito mio pensare provocato dalla noia del mancato riempimento informativo ci rifletto un poco sopra. Era notte quando tutto mi è mancato, ho chiuso gli occhi e son partito senza indugio. Ciò che avevo addosso e in mano si è ritrovato insostenuto ed è cascato verso il suolo; che vergogna questi abiti sparsi, cosa penseranno di me, (che sono un libertino senza valori)? Capiranno che non è stato un denudarsi volontario, ma solo il frutto della mia dissipazione?
Penso spesso, in questo vuoto essenziale (perchè tempo - e spazio - per pensare ne ho a bizzeffe), a quanti ancora noteranno la mia assenza, e per quanto: non sono molti, non è tanto tempo. Ma sono buoni, e son minuti preziosi; questo mi consola e mi fa sorridere.
Chissà se tornerò. Non vedo porte da quaggiù - non vedo niente - ma ho l'impressione che a crearle non ci voglia che pazienza e volontà. Le mie specialità, anche queste. Tutte per voi.
Un ultimo pensiero ad una singolarità nel vostro genere. Mi dolgo ancora - è per te - di non esserti rimasto ancor più accanto quando so che era dovuto. Nella tua cedevolezza trovo il nido della mia superba resa, e quali colpe potrei darti, se non quelle di chi sa che non mi aspetta? Ecco fatto. Sto girando su me stesso. Nella speranza di un barlume, a far rapprendere le membra di un organismo ormai disfatto.
Allora via, ecco i saluti. Arrivederci, amore, ciao - un poco d'ironia. Tornando seri. Nel bianco ardore dei miei gesti extradimensionali colgo un fremito di gioia: per avervi sussurrato - l'ultima volta? - nelle orecchie. Non mi dimenticate, non ancora.
A tutti voi: addio. Ma a te: ti amo.