08 dicembre 2007

Del perchè sei più di quello che sei.

C'era una volta un villaggio di creature che vivevano nel fondo di un gran fiume di cristallo. La corrente del fiume scorreva silenziosamente su tutte le creature, giovani e vecchie, ricche e povere, buone e malvagie, in quanto la corrente seguiva il suo corso, conscia soltanto della propria essenza di cristallo.
Ogni creatura si avvinghiava strettamente, come poteva, alle radici e ai sassi del letto del fiume, poiché avvinghiarsi era il loro modo di vivere, e opporre resistenza alla corrente era ciò che ognuna di esse aveva imparato sin dalla nascita.
Ma finalmente una delle creature disse "Sono stanca di avvinghiarmi, poiché, anche se non posso vederlo con i miei occhi, sono certa che la corrente sappia dove sta andando, lascerò la presa e consentirò che mi conduca dove vorrà. Continuando ad avvinghiarmi morirò di noia".
Le altre creature risero e dissero "Sciocca! Lasciati andare e la corrente che tu adori ti scaraventerà rotolandoti fracassata contro le rocce e morirai più rapidamente che per la noia".
Quella però non dette loro ascolto e tratto un respiro si lasciò andare e subito venne fatta rotolare dalla corrente e frantumata contro le rocce.
Ciò nonostante dopo qualche tempo, poiché la creatura si rifiutava di tornare ad avvinghiarsi, la corrente la sollevò dal fondo liberandola, ed essa non fu più contusa né indolenzita.
E le creature più a valle nel fiume, per le quali era un' estranea, gridarono "Guardate! Un miracolo! Una creatura come noi, eppure vola! Guardate il Messia, venuto a salvarci tutte!"
E la creatura trascinata dalla corrente disse "Io non sono un Messia più di voi. Il fiume si compiace di sollevarci e liberarci, se soltanto osiamo lasciarci andare. La nostra missione vera è questo viaggio, questa avventura".
Ma le altre gridarono più che mai "Salvatore", sempre avvinghiandosi nel frattempo alle rocce, e, quando tornarono a guardare, il Messia era scomparso.
Ed esse rimasero sole a intessere leggende su un Salvatore.

The Happening

Un'altra attesa.
Estenuante, anche questa.
Come tutte le attese.

03 dicembre 2007

Ladies and gentlemen, I shall now perform an Orwellian flip-flop


Sono un uomo che ha un passato di ragione e accuratezza: la mia idea è che non ci sia nessuno spazio per il sentimento se non c’è una precisione di fondo, un’impulsiva attenzione nei dettagli più minuti.

Ho sfogliato con gli occhi passando il tempo a leggere le parentesi di chi mi stava accanto, ho notato e incamerato ogni sua piccolezza e l’ho resa importante, ho cercato nei particolari la ragione del rapporto. Non ho mai apprezzato i grandi numeri, ho amato soltanto qualche volta, ho preteso soltanto qualche volta, ho avuto soltanto qualche volta, ho odiato più di qualche volta ma non troppo. Disprezzando le enormità ho spesso preferito il poco o il molto poco, emigrando perfino nelle regioni del niente; così bello, quel vuoto.

Ho sempre pensato, del resto, che la follia più grande dell’innamoramento non sia nella perdita di criterio dovuta alle imponenze del percorso, bensì in una intesa sconsiderata riguardo ogni repentina deviazione, in un preventivo ed illogico appoggio verso ogni allucinazione reciproca: accompagnando ogni parabola, perciò, non ho tagliato neanche una curva.

Cerco di perseguire ogni mia decisione con questo credo in mente, non ho dogmi o pregiudizi, rifiuto il senso di colpa quando è inutile. Mi piace, in effetti, non affrettarmi nel raggiungimento dei miei obiettivi. Amo perdere il tempo e sentirlo scorrere sul viso, spendo volentieri le mie mattinate a dormire, considero giusto osservare le nuvole e contare i lampioni lungo la strada. Ho imparato, con molti sforzi e molta fatica, a togliere in quel che mi serve il "dovere" dall'equazione che da come risultato il "vivere". Raramente, ma con soddisfazione, riesco a privarmi di quella sofferenza che lacera, da sempre, la pelle di cui sono fatti i nostri giorni.

E proprio addosso a questo, ho riposato ogni mio affetto.