12 luglio 2008

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Don't waste your time on me, you're already the voice inside my head.

08 luglio 2008

Lee

Mi chiamo Lee.

Ho i capelli bianchi, lunghi e lisci, mi cascano sulle spalle con precisione impossibile. Indosso una tuta aderente viola, tuta da guerriero.

Davanti a me c’è un uomo alto due metri e dieci centimetri, con un paio di pantaloni rossi e neri, il petto nudo, gli addominali scolpiti. È mezzora che tento di ucciderlo.

Si chiama Jim Kazama.

“Fai la combo!”, dice Chris, sollevando la testa dalla mia spalla.

Jim si avvicina con fare minaccioso.

“Cos’è la combo?”, chiedo, e intanto schivo un calcio a forbice saltando all’indietro.

“Premi prima croce e poi tondo e intanto fai la mezzaluna in alto verso destra”, esclama. Per lui è una cosa ovvia.

Spreco secondi preziosi a cercare il tondo. Per un attimo mi tremano le dita e perdo la concentrazione, la Playstation sguscia via dal mio controllo. Nel frattempo ricevo due cazzotti in faccia e un calcio volante.

“Così?”

Ho trovato il tondo.

“Così!”

Lee si mette in equilibrio sulle mani e inizia a girare allargando le gambe, diventa una specie di elicottero umano, con i suoi capelli bianchi a sfiorare il suolo e i suoi piedi a colpire Jim sulla faccia. Pum, pum, paah.

“Ora premi croce velocissimo”, urla Chris. È eccitato. “Più veloce dai, lo stiamo battendo!”

Premo croce alla velocità della luce. Lee inizia a dare cazzotti, prima lentamente e poi uno dopo l’altro sempre più rapidamente, finché le braccia si confondono una con l’altra e diventano un’arma unica, inesorabile, micidiale. Jim prova a difendersi, para qualche colpo, ma incassa tutti gli altri e sono abbastanza. Bastardo. Jim stramazza al suolo.

Jim muore.

“Vittoria!”, urliamo. Lo diciamo insieme, a voci sovrapposte, e mi sembra di aver vinto la battaglia più importante della mia vita.

Mi fa male il pollice sinistro, è tutto arrossato e indolenzito. Poso la Playstation sul bracciolo del divano e mi alzo con un salto fintamente pirotecnico, poi tendo i muscoli delle braccia mostrando i bicipiti a un pubblico immaginario. Faccio dei versi gutturali, mi inchino.

Guardo Chris dritto negli occhi. Lee saprebbe cosa fare. Saprebbe che non è ancora abbastanza.

“Sai una cosa Chris?”, dico.

“Cosa?”

“Ho deciso che ora giochiamo a un gioco.”

Sgrana gli occhi, fa la V con le sopracciglia. Vedo un guizzo improvviso attraversargli il volto. “Giochiamo a esprimi un desiderio”, dico.

Mi guarda perplesso e divertito, distende le labbra per lo stupore. Prima quello inferiore, poi quello superiore. Rimane così, con la bocca spalancata. Non capisce.

“E come si gioca?”, dice dopo un sacco di tempo.

“Beh, è semplice.” Avvicino una mano al suo viso e gli stringo il naso per fargli il solletico. “Funziona così. Tu adesso esprimi un desiderio, qualsiasi cosa che ti venga in mente, e me lo sussurri all’orecchio. E io faccio di tutto per esaudirlo il prima possibile.”

Chris accusa il colpo ritraendo la testa all’indietro fino a farla sbattere sullo schienale del divano. Mi guarda, e nei suoi occhi verdissimi c’è scritto: quand’è che mi dici che è tutto uno scherzo?

“Non è uno scherzo Chris”, annuisco. “Puoi chiedermi tutto quello che vuoi.”

Ci pensa un momento. Tira su col naso.

“Tutto tutto tutto?”, chiede.

“Tutto tutto tutto.”

È sconvolto.

Ora è abbastanza perfino per un guerriero.

Mentre pensa al suo desiderio Chris rimane zitto per un sacco di tempo. Sta riflettendo attentamente, ne ha uno solo e non può sprecarlo. Sa bene che fortune simili non capitano spesso. Io alzo gli occhi sull’orologio nello scaffale della libreria. Sono le dieci e mezza di sera.

Vado a lavarmi i denti, mi spruzzo un po’ di deodorante al talco e mi sistemo i capelli. Mentre esco dal bagno lancio una rapida occhiata allo specchio, alla mia immagine dall’altra parte. Questa camicia mi sta perfetta. Anche questo sorriso. Mi sta perfetto.

Mamma è seduta sul letto a guardare la tv. Passo davanti alla sua stanza e mi fermo un momento ad osservarla. Sembra troppo assorta per accorgersi di me, nemmeno si gira a guardarmi. Ha tolto il sonoro della tv, sullo schermo si vedono due uomini che litigano animatamente tra loro ed è stranissimo vedere i loro gesti scomposti senza sapere cosa si stiano dicendo. Distolgo lo sguardo e mi allontano, e in quell’istante sento la voce di mia madre.

“Stai attento”, dice. La guardo. Non mi guarda.

Faccio un passo indietro, lei continua a fissare lo schermo, fatico un po’ a rendermi conto che mi ha parlato davvero.

“Attento a cosa?”

Mamma si allenta un po’ il foulard intorno al collo, si raccoglie i capelli tra le mani e li lascia cadere sulle spalle.

“A Christopher.” Si osserva le dita con disappunto, soffia via un capello morto. Poi torna con gli occhi sulla televisione.“Io so cosa desidera.”

“È solo un bambino mamma.”

Lei socchiude gli occhi, come a concentrarsi ulteriormente su quegli uomini che vivono dentro la televisione, e che si muovono in quel modo strano.

“È vero”, dice. Inarca le labbra in un sorriso sforzato. “Ma lo sei anche tu.”

Torno in salone e mi avvicino al divano. Dal soffitto arriva il suono di una sparatoria, grida scomposte, una musica struggente. Poi il rumore di pneumatici sull’asfalto, la sirena di un’ambulanza. Per un momento alzo la testa, poi torno a fissare Chris. È la tv della vicina. Chissà se è lo stesso film che sta guardando mamma.

“Hai pensato al desiderio?”, gli dico.

Lui annuisce.

Vuole un gioco della Playstation, un dvd dei cartoni animati. No, troppo poco. Forse vuole una Playstation tutta nuova o forse uno stereo. Io alla sua età avevo uno stereo fantastico. Bastava scuoterlo un po’ e la rotella del volume si illuminava di blu.

“Allora dimmelo”, continuo.

Mi siedo di nuovo accanto a lui, raccolgo le gambe e appoggio il mento sulle ginocchia. Chris sposta lo sguardo su di me. È uno sguardo ed è anche un segreto.

Avvicino l’orecchio alle sua bocca.

“Stasera esci con David?”, sussurra piano.

Stavolta sono io a sgranare gli occhi.

“Sì.”

Chris tira fuori la lingua ed esita un po’ prima di parlare di nuovo. Con le labbra mima: tutto tutto tutto e mi sorride.

Prende fiato.

Dice: “Portami con te.”