23 aprile 2008

I gesti eleganti

Scura di pelle come il legno, come il legno dura e forte. La Negra aveva addosso intelligenza e troppa stima per se stessa. Scacciò quella mattina un altro uomo dal suo letto, sotto l’acqua lavò via l’odore stinto di quel sesso, si vestì con molta cura. Entrò in classe che era tardi, come sempre. La Nana era già lì, col suo sorriso e un posto vuoto accanto a lei.
“Per domani voglio avere da voi due una Storia pronta”, disse in aula il Gran Maestro, indicando prima l’una e poi quell’altra. “Altrimenti andate via, e non mettete mai più piede in questa scuola”.
La Nana era bruttissima, sbadata e perspicace. I capelli erano rossi e sempre sporchi, non toccava carne umana da chissà che tempi andati. Stava in casa con sua madre, e sognava. Come tutti, sperava di permettersi una vita grazie alla parola scritta.
“Non sarò mai in grado di scrivere nulla per domani”, disse fuori alla sua amica nera in volto, e in quei frangenti pure dentro.
“Non è vero, proveremo e sono certa che faremo un gran lavoro”, obiettò la Negra.
“Ho paura”, sussultò quindi la Nana, con lo sguardo verso i piedi ed un tremore tutto addosso.
“Prima o poi sarebbe successo”.
Poi la Negra entrò da sola dentro l’aula diciassette, prese un pacco di fogliacci e iniziò a scrivere. Pensava, tra sé e sé, che sarebbe stata brava; voleva sostenere anche l’amica, e così scrisse per due. Storie distinte e favolose, dal linguaggio colto e senza abbellimenti, frasi corte e musicali. Scrisse bene e scrisse in fretta, quella Negra, e in gran segreto scrisse il doppio, anche per l’altra. Dopo un’ora già finì, sorrise a lungo e uscì un momento a riposare.
Nel frattempo la Nana disperata camminava senza sosta in cerca di un’illuminazione. Piangeva, vagando per la scuola, senza idee da buttar giù in opera scritta. Dopo un po’ concluse infine riflettendo a bassa voce: “Non saremo mai capaci, io e la Negra, di ottenere quel lavoro che ci ha chiesto. Ho un’idea: lo ruberò a qualcuno senza dar nell’occhio. Ne prenderò uno per me e uno per lei”.
Trovò nell’aula diciassette due quaderni abbandonati; esultò leggendo, dentro, due racconti appena scritti. Così li prese in mano e stava uscendo, se non fosse che di scatto entrò la Negra che la vide e le urlò contro.
“Cosa fai, mi rubi quello che ho sudato in questo tempo?”
“Ma che dici, non sapevo fossi tu ad averli scritti!”
“Beh sei stronza e mentecatta. E pensare che ne ho pure scritti due, uno per te e uno per me.”
“Ed io due ne ho rubati, uno per te e uno per me.”
“Puttana!”
“Troia!”
Se non fosse che passava in quel momento il Gran Maestro il quale, attirato dal trambusto, entrò subito nell’aula diciassette. “Che succede, questo chiasso non sta bene”, disse piano e senza perdere la calma. La Negra prese allora la parola e gli rispose: “Non è niente. Commentavo ciò che ha scritto la mia amica. Trovo che nel suo racconto vi sia qualche punto oscuro, ma non sono io che devo giudicarlo, ecco a lei.” E strappò tutt’e due i quaderni dalle mani della Nana per passarli al Gran Maestro. Nel frattempo la sua bassa e brutta amica non fiatò, con gli occhi al suolo ed un pallore singolare addosso al viso. L’aria densa e calcolata si scaldò per un momento.
“Grazie, Negra”, disse l’altra appena l’uomo se ne andò.
“Se non avessi scritto io, sarei qui dentro solo grazie al tuo rubare. Sono io che dovrei ringraziare te”.
“Di cosa parla il mio racconto?”, chiese la Nana sorridendo.
“Parla di noi”.
“Dimmi ancora”.
Silenzio tra le due per qualche istante. Poi la Negra rise e disse.
“Parla di quello che, tra tutti quanti i gesti, è certamente il più elegante”.

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