18 marzo 2008

Il potere del male

Scandalosi i suoi modi quella notte.
Scandalosi i suoi gesti, scandalose le sue poche parole. Mi spogliò con la bocca impastata da un fiato pesante, mi appoggiò a un muro e mi voltò, le sue mani a spingere il mio viso contro la porta di legno della cucina. Mi prese da dietro, come mai aveva fatto prima. Sentii un dolore lancinante.
Durò poco, colò dentro di me le sue sporcizie senza sorridere mai. Nemmeno una volta.
"Ci vediamo un film?", sospirai rivestendomi.
"Sì" disse lui.
Soltanto: sì.
Sul divano abbracciata al suo petto finsi la normalità dei giorni scorsi, non ingannai nemmeno me. Era tardi quando uscì sbattendo forte la porta.
Le viscere continuavano a pulsare, la sua presenza ormai svanita a farmi male, e ancora male. Mi lavai a lungo sotto un'acqua bollente gelata. La tinsi di rosso, mi spaventai, ma non era niente. Niente di cui preoccuparsi, donna. Niente di cui preoccuparsi. Entrai nel letto alle cinque di notte con gli occhi più aperti di prima con il corpo più sporco di prima. Il sonno tardava ad arrivare eppure mi aspettava una giornata pesante. Pesante come tutte le giornate, ma con in più il grave sinistro della paura. Ancora non sapevo niente, allora. Che stolta.
Sfogliai qualche pagina di un libro troppo triste che parlava d'amore di mare e di uomini valorosi, mi mancavano tutte queste cose lo chiusi insoddisfatta. Finalmente un pensiero più forte degli altri mi prese con sè, trascinò la coscienza nel regno dei morti di sonno e così cominciai a sognare. Meglio prima, forse?
Sognai incubi assurdi pieni di dèmoni, di soldati con gli artigli e di bambini divorati dagli insetti. Sognai viscere in fiamme sognai, muri diroccati, soli neri. Infine sognai un buco e di caderci, mi svegliai quando il mio volto era già piatto al suolo. Un tonfo sordo come quello di un cranio spiaccicato mi svegliò.
Erano le sette e mezzo circa quando ormai dovetti alzarmi e andare in bagno per gettare basi solide al mio giorno. In cucina scaldai poco del caffè avanzato e amaro. Poi mi squillò il telefono ed ebbi paura. Era lui lo riconobbi nel contorno rumoroso di un bar a prima mattina. Risposi: pronto; molto piano, mi sentì o forse no. Ma parlò uguale.
"Stanotte ho ucciso un uomo", disse solo.
Piangeva o forse no.

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