01 novembre 2006

I've been looking so long at these pictures of you

Ultimamente mi diverto a ripescare dai misteriosi anfratti di casa mia alcuni pacchi di vecchie foto, immagini antiche, di quelle che non guardi mai, se non quando viene la cugina di tuo padre che non vedi da dodici anni, o quando ci butti l'occhio sopra tra un'imprecazione e l'altra mentre cerchi un paio di Levi's che chissà dove sono finiti.
La mia capacità di rendere brutta una foto è leggendaria. Sia che io sia il soggetto, sia che sia colui che la scatta, l'immagine in questione assume di solito sembianze mostruose, adatte più a una serata dark che a un'amena rimpatriata di parenti. Non posso dire di essere fotogenico, no. Anzi, vi dirò di più: in foto faccio proprio cagare, è inutile. L'esoterico meccanismo per cui la pellicola mi riproduce in condizioni pietose non finirà mai di affascinarmi, tant'è che continuo a farmi fotografare, e a scatenare in questo modo la gioviale ilarità di tutti i presenti, me compreso. Dall'altro lato della macchinetta la situazione non è migliore, del resto. Non aiutato dal mio morbo di Parkinson, ormai giunto a livelli preoccupanti. Non aiutato dai quattro o cinque caffè al giorno. Non aiutato dalla mia proverbiale impazienza. Non aiutato infine da 'sto cazzo che mi ritrovo al posto di quel minimo di sensibilità artistica che si richiede in questi casi, sarei in grado di rendere orribile anche una foto scattata alla Monument Valley. Immaginate quindi cosa viene fuori dagli stupidi scatti fatti agli amici.
Tutto questo, paradossalmente, si unisce a un mio particolare amore per la fotografia. Non solo per quella d'autore (soprattutto pop, però: LaChapelle insegna), ma anche per quella amatoriale, per le foto delle vacanze, per i ritratti tutti uguali degli amici e dei nemici. Non mi annoiano i fatidici incontri settembrini in cui il gruppo di amici srotola davanti ai tuoi occhi pacchi e pacchi di rullini, tutti meticolosamente sviluppati e catalogati in eleganti raccoglitori con dei fiori in copertina. Non mi stressano i pomeriggi passati a guardare Rimini, la Sardegna, Londra, o New York ("Quanti cazzo di amici ricchi c'hai", mi direte? Falso, la frase giusta dovrebbe essere: "Quanto cazzo rosichi, dopo ogni estate?", ma comunque...).
Scattare una fotografia non ha niente di mistico, in my opinion. Nessun "hai colto l'anima del soggetto", nè tantomeno "hai incastrato su carta le sue emozioni". Semplicemente: aiuta a ripensare, e non è tanto il ricordo la cosa importante, quanto più il rivivere per un momento solo quella situazione, esserne partecipi. Ed è una partecipazione così intima che solo l'immagine può darti, nessun film può riuscire nello stesso, con quel tripudio di movimento, con tutta quell'imposizione costruita di rumori e suoni, con quei dialoghi, cazzo. Una foto basta, avanza, anzi è molto di più.
Vi lascio, dopo questo post dalla dubbia utilità. Ma sapete, il tempo è triste, la mente deve essere almeno un po' allegra, per contrastar lo schifo, no?

Foto!

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